Manifesto Arte Libera

ll 1° maggio 1911 si apriva a Milano l'Esposizione d'Arte Libera, una mostra d’arte che ospitava opere di giovani artisti, tra i quali Boccioni, Carrà e Russolo, che per la prima volta proponevano insieme i loro capolavori futuristi. "Invitiamo quanti intendono affermare qualche cosa di nuovo e coloro che tentano di esprimersi diversamente da ciò che è comune e convenzionale” - questa la filosofia di quella prima Esposizione. Il giovane Boccioni aveva avuto l'opportunità di usufruire di uno spazio presso la Società Umanitaria. Qui, accanto al chiostro dei Glicini, aveva dipinto "Il Lavoro", opera ora esposta al MOMA, a New York ("The City Rises"); qui aveva avuto modo di condividere esperienze e progettualità con Alessandrina Ravizza e la "Casa del Lavoro"; e proprio alla "Casa" furono destinati i proventi della Mostra. 

Milano, in quegli anni, era centro europeo di elaborazione artistica e culturale, coniugate alla politica, e a una forse irripetuta e irripetibile attenzione ai temi e ai bisogni della società. L'Umanitaria era un crogiolo di iniziative: formazione scolastica e professionale, sostegno ai più deboli, integrazione sociale, e grandi esperimenti culturali: tra gli altri, il Teatro del Popolo (con presenze illustri come Arturo Toscanini) e l'Università delle Arti Figurative alla Villa Reale di Monza.

Arte e Lavoro. Arte è Lavoro. Espressione e metafora del mondo, interpretazione e critica e creazione. L'arte non è mai indifferente e mai convenzionale. E' opera di un singolo che però come un frattale contiene in sé, influenza e riproduce l'umanità intera. E' pensiero e azione, formazione professionale e culturale che impatta sulla collettività.


Arte, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, è linguaggio e comunicazione, in qualsiasi forma intenda presentarsi e proporsi. Non possiamo essere noi a definirne i confini: perché sappiamo che in qualsiasi forma si manifesti è rivoluzionaria, come una verità finalmente espressa. Per questo non esiste arte "maggiore" o "minore", ma solo arte autentica che nel momento in cui si propone si impone e chiede attenzione.

Per fare questo, ha bisogno di spazio. Affinché sia possibile riattivare una comunicazione aperta ("rivoluzionaria" l'ha definita Stefano Boeri) tra l'artista, la sua opera e la società alla quale appartiene e alla quale è inevitabilmente destinata.

Soprattutto l'arte dei giovani che, per definizione e aspettative, intende rompere gli schemi del già detto e proporre espressioni non convenzionali. E più difficilmente trova occasioni per presentarsi.

Ecco: è necessario intervenire lì: nel punto in cui l'arte cerca modi e occasioni per manifestarsi, non è ancora oggetto di mercato, e propone una diversa concezione del mondo e dell'arte stessa.

Apriamo spazi all'arte affinché l'arte ce li riveli nella loro unicità: anche noi ne usciremo inevitabilmente diversi. Scegliamo luoghi pubblici, che appartengono alla collettività, che siano finalmente liberi dalle ideologie e ancora liberi dalle catalogazioni.

Rendiamoci disponibili a questo dialogo, ad essere provocati e messi alla prova. E anche l'opera uscirà diversa da questo incontro: se sarà un incontro affrancato dalle ideologie; e anche se sarà uno scontro, necessario, dialettico, tra rappresentazione e realtà.

Tutto ciò accade, a prescindere dalla nostra presa di coscienza; accade a tutti, indipendentemente dalla formazione culturale, non solo alla piccola cerchia della critica d’arte. Aprirsi a questo dialogo è un gesto responsabile e democratico perché riporta l’individuo al centro della espressione artistica.

La frequentazione del web ci ha disabituati all'impatto con l'arte - che invece vogliamo recuperare e proporre come rinnovata modalità del conoscere. Rendersi disponibili all'incontro vuol dire accettare l'ipotesi di un turbamento al cospetto di un'opera. E guardare l'artista negli occhi e rivelargli questo turbamento, guardare le sue mani, e riconoscerlo come homo faber, artefice del nuovo mondo che ci sta manifestando e in cui abbiamo accettato di abitare, anche per il solo tempo di una mostra, di un concerto, di un incontro.

Abitare l'arte vuol dire abitare il tempo che ci è dato vivere con la consapevolezza delle radici che ci portiamo dentro e del futuro che sta preparando per noi. Vuol dire condividere la libertà del gesto e difendere quella libertà perché è da essa che dipende la libertà delle generazioni.

A 110 anni da quella prima Esposizione d'Arte Libera, riteniamo che la Milano metropolitana possa (debba?) riproporre e riproporsi quelle stesse ambizioni programmatiche: far tesoro delle esperienze, delle accademie, delle esposizioni tradizionali e aprire nuove opportunità per unire arte e lavoro, e far sì che questo dialogo tra immaginazione e creazione, tra rappresentazione e realtà, possa essere laboratorio per un futuro migliore, per tutti.