Milano, in quegli anni, era centro europeo di elaborazione artistica e culturale, coniugate alla politica, e a una forse irripetuta e irripetibile attenzione ai temi e ai bisogni della società. L'Umanitaria era un crogiolo di iniziative: formazione scolastica e professionale, sostegno ai più deboli, integrazione sociale, e grandi esperimenti culturali: tra gli altri, il Teatro del Popolo (con presenze illustri come Arturo Toscanini) e l'Università delle Arti Figurative alla Villa Reale di Monza.
Arte, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, è linguaggio e comunicazione, in qualsiasi forma intenda presentarsi e proporsi. Non possiamo essere noi a definirne i confini: perché sappiamo che in qualsiasi forma si manifesti è rivoluzionaria, come una verità finalmente espressa. Per questo non esiste arte "maggiore" o "minore", ma solo arte autentica che nel momento in cui si propone si impone e chiede attenzione.
Per fare questo, ha bisogno di spazio. Affinché sia possibile riattivare una comunicazione aperta ("rivoluzionaria" l'ha definita Stefano Boeri) tra l'artista, la sua opera e la società alla quale appartiene e alla quale è inevitabilmente destinata.
Soprattutto l'arte dei giovani che, per definizione e aspettative, intende rompere gli schemi del già detto e proporre espressioni non convenzionali. E più difficilmente trova occasioni per presentarsi.
Ecco: è necessario intervenire lì: nel punto in cui l'arte cerca modi e occasioni per manifestarsi, non è ancora oggetto di mercato, e propone una diversa concezione del mondo e dell'arte stessa.
Apriamo spazi all'arte affinché l'arte ce li riveli nella loro unicità: anche noi ne usciremo inevitabilmente diversi. Scegliamo luoghi pubblici, che appartengono alla collettività, che siano finalmente liberi dalle ideologie e ancora liberi dalle catalogazioni.
Rendiamoci disponibili a questo dialogo, ad essere provocati e messi alla prova. E anche l'opera uscirà diversa da questo incontro: se sarà un incontro affrancato dalle ideologie; e anche se sarà uno scontro, necessario, dialettico, tra rappresentazione e realtà.
Tutto ciò accade, a prescindere dalla nostra presa di coscienza; accade a tutti, indipendentemente dalla formazione culturale, non solo alla piccola cerchia della critica d’arte. Aprirsi a questo dialogo è un gesto responsabile e democratico perché riporta l’individuo al centro della espressione artistica.
La frequentazione del web ci ha disabituati all'impatto con l'arte - che invece vogliamo recuperare e proporre come rinnovata modalità del conoscere. Rendersi disponibili all'incontro vuol dire accettare l'ipotesi di un turbamento al cospetto di un'opera. E guardare l'artista negli occhi e rivelargli questo turbamento, guardare le sue mani, e riconoscerlo come homo faber, artefice del nuovo mondo che ci sta manifestando e in cui abbiamo accettato di abitare, anche per il solo tempo di una mostra, di un concerto, di un incontro.
Abitare l'arte vuol dire abitare il tempo che ci è dato vivere con la consapevolezza delle radici che ci portiamo dentro e del futuro che sta preparando per noi. Vuol dire condividere la libertà del gesto e difendere quella libertà perché è da essa che dipende la libertà delle generazioni.
A 110 anni da quella prima Esposizione d'Arte Libera, riteniamo che la Milano metropolitana possa (debba?) riproporre e riproporsi quelle stesse ambizioni programmatiche: far tesoro delle esperienze, delle accademie, delle esposizioni tradizionali e aprire nuove opportunità per unire arte e lavoro, e far sì che questo dialogo tra immaginazione e creazione, tra rappresentazione e realtà, possa essere laboratorio per un futuro migliore, per tutti.