La Costituzione Italiana: culture politiche e disegno istituzionale

Sabato 1° marzo ha preso il via la nuova edizione della Scuola di Formazione Politica "Conoscere per decidere", promossa dalla Società Umanitaria insieme alla Fondazione per la Sussidiarietà e a Futuri Probabili. Il percorso di quest'anno affronta il tema “I rischi della democrazia e le lezioni del passato”, proponendo un viaggio nella storia politica e istituzionale del nostro Paese per comprendere le sfide del presente.

Dopo l’incontro inaugurale con Luciano Violante, la prima lezione ha visto l’intervento della Prof.ssa Lorenza Violini, che ha analizzato il processo costituente italiano, evidenziando il valore della nostra Carta fondamentale come esito di un confronto tra culture politiche profondamente diverse, ma accomunate dall’intento di costruire un Paese nuovo sulle macerie della dittatura e della guerra. La Costituzione italiana è il frutto di un travaglio storico e culturale complesso, un dialogo che ha saputo integrare esperienze e visioni distanti senza che nessuna parte rivendicasse una posizione egemonica. Al contrario, ciò che ha caratterizzato il dibattito costituente è stata la ricerca di un equilibrio, in cui la diversità di idee e di culture politiche si è trasformata in valore e sintesi, sotto l’egida della cultura liberale e della comune volontà di ricostruzione.
La nostra Costituzione è ambiziosa e innovativa, perché non nasce da una singola ideologia, ma dalla capacità di valorizzare le differenze e farle convergere in una visione condivisa del bene comune. Lontano dalla polarizzazione politica a cui oggi siamo abituati, i costituenti si mossero su un terreno di confronto aperto, in cui il rispetto reciproco tra le diverse anime politiche permise di creare un testo capace di rappresentare tutti. Questo approccio non fu solo il cuore della fase costituente, ma caratterizzò anche i primi decenni della Repubblica italiana, con una politica costruita sul dialogo e sulla ricerca di soluzioni comuni, in una logica di “unità nella diversità”.

Oltre a rispondere alle esigenze interne del Paese, la Costituzione italiana si inserisce in un nuovo ordine mondiale, segnato dal bisogno di affermare una visione dell’uomo radicalmente diversa rispetto agli orrori del nazismo e delle dittature del Novecento. Il concetto di dignità umana – inteso non solo come riconoscimento dei diritti individuali, ma come fondamento di una nuova idea di Stato e società – è uno dei pilastri su cui si costruisce la nostra Carta. In questo senso, la Costituzione italiana si allinea ai grandi documenti internazionali dell’epoca, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, contribuendo a definire una visione del mondo incentrata sulla centralità della persona e sulla tutela della libertà e dell’eguaglianza.

Successivamente, due approfondimenti tematici hanno arricchito il dibattito, focalizzandosi su due questioni centrali che hanno segnato l’intero percorso di elaborazione della Costituzione: il lavoro e il rapporto tra Stato e Chiesa. Questi temi non furono solo oggetto di confronto tra visioni politiche diverse, ma rappresentarono i punti nevralgici di un compromesso fondativo, in cui le esigenze delle principali forze politiche del dopoguerra trovarono una sintesi capace di garantire la coesione del nuovo Stato democratico. Da un lato, i cattolici ritenevano imprescindibile il riconoscimento dei Patti Lateranensi, che sancivano il rapporto tra Stato e Chiesa e garantivano una continuità storica con il concordato stipulato con il Vaticano. Dall’altro, i comunisti e socialisti vedevano nel lavoro il principio cardine su cui incardinare la nuova Repubblica, affinché il diritto al lavoro divenisse non solo un valore sociale, ma il fondamento stesso della partecipazione democratica. Proprio dall’incontro tra queste due grandi esigenze di parte prese forma un compromesso costituzionale, non come mera mediazione politica, ma come costruzione di una struttura istituzionale equilibrata, capace di reggere nel tempo e di rappresentare tutte le anime del Paese.

La Prof.ssa Benedetta Vimercati ha approfondito il ruolo centrale del lavoro nella Costituzione italiana, evidenziando come esso sia stato concepito non solo come diritto individuale, ma anche come fondamento della partecipazione democratica e della dignità sociale. La sua analisi ha messo in luce il dibattito che accompagnò la formulazione dell'articolo 1, dove si confrontarono diverse visioni sul ruolo del lavoro nella nuova Repubblica. La scelta di definire l'Italia una "Repubblica fondata sul lavoro" rappresentò un compromesso tra le varie forze politiche, evitando connotazioni ideologiche specifiche e sottolineando il lavoro come principio unificante della nazione. ​


L'articolo 4, che sancisce il diritto e dovere al lavoro, fu anch'esso oggetto di approfondite discussioni. In questo contesto, il contributo del giurista Piero Calamandrei fu particolarmente significativo. Egli sollevò questioni cruciali riguardo alla definizione del concetto di lavoro e alle implicazioni che una sua interpretazione restrittiva avrebbe potuto avere sull'accesso ai diritti politici. Calamandrei evidenziò la necessità di una concezione ampia e inclusiva del termine, che comprendesse sia le attività produttive tradizionali sia quelle non remunerate ma socialmente rilevanti, al fine di garantire una piena partecipazione democratica a tutti i cittadini. ​ L'intervento della Prof.ssa Vimercati ha quindi sottolineato come il lavoro sia stato un elemento centrale nel processo costituente, rappresentando un punto di convergenza tra diverse ideologie politiche e costituendo uno dei pilastri su cui si è edificata la democrazia repubblicana italiana. A seguire, il Prof. Luca Vanoni ha esplorato il dibattito che si sviluppò tra i Costituenti intorno alla definizione del rapporto tra Stato e Chiesa, illustrando il complesso equilibrio raggiunto con l’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione. La questione era profondamente divisiva: da un lato, la Democrazia Cristiana considerava il riconoscimento dei Patti un punto essenziale per garantire la continuità del ruolo della Chiesa cattolica nel Paese; dall’altro, le forze laiche e socialiste temevano che questa scelta potesse tradursi in una deriva confessionale dello Stato, ponendo un freno al principio di laicità. Tuttavia, il compromesso non si giocò esclusivamente su un piano dottrinale, ma anche su una valutazione politica più ampia. Il PCI scelse di non opporsi frontalmente al riconoscimento dei Patti Lateranensi, consapevole che porsi in aperto contrasto con la Chiesa avrebbe potuto alienargli il consenso di una parte rilevante della classe lavoratrice, in larga misura cattolica. In un Paese con una forte identità religiosa, una posizione rigida avrebbe potuto precludere alla sinistra la possibilità di consolidare la propria influenza politica negli anni successivi.

Il risultato fu una sintesi delicata: il riconoscimento del ruolo storico della Chiesa cattolica venne affiancato dalla definizione di uno Stato a-confessionale, in cui veniva garantita la libertà religiosa senza che il cattolicesimo fosse imposto come religione di Stato. Questo equilibrio segnò un passaggio chiave nella costruzione della democrazia italiana, dimostrando come la Costituzione fosse il prodotto di una dialettica politica capace di andare oltre le divisioni ideologiche, per giungere a soluzioni condivise.
La giornata si è conclusa con esercitazioni di gruppo, curate dal professore Mattia Granata, in cui i partecipanti hanno avuto l’opportunità di confrontarsi attivamente sui temi affrontati. Suddivisi in gruppi, hanno lavorato su documenti storici – tra cui scritti di Enrico Berlinguer e Amintore Fanfani per i lavori delle Commissioni per la Costituzione – e su una selezione di definizioni chiave del lessico democratico, sviluppando un confronto critico sulle radici concettuali della nostra democrazia e restituendo un output collettivo dei dibattiti emersi nei tavoli di lavoro.