Proseguono le celebrazioni per i 300 anni dalla nascita di Giuseppe Baretti, con la proiezione del film "Barry Lyndon" di Stanley Kubrick (1975, 184') mercoledì 22 gennaio alle ore 19.
Le celebrazioni sono promosse dal centro internazionale di studi europei Sirio Giannini con il Comune di Seravezza (Lucca). Il calendario di iniziative si è aperto il 3 e il 4 maggio con un convegno a Seravezza e proseguirà fino al 2021 con eventi in altre città italiane e europee, tra cui, Lisbona e Utrecht. Un corposo programma di iniziative sotto l’egida del Ministero per i Beni e le Attività Culturali che coinvolge anche Pistoia, Lucca, Pisa, Cagliari, Torino.
Le celebrazioni, hanno spiegato gli organizzatori, vogliono accendere i riflettori sulla figura Baretti come intellettuale poliedrico, originale, indipendente e, ancora oggi, sottostimato.
IL '700 DI 'BARRY LYNDON'
Il silenzio ostinato che circonda Barry Lyndon, l'ultima fatica di Stanley Kubrick, uno dei film più belli che si siano mai visti - un film che, come 2001, non ci stancheremo mai di vedere e di rivedere - è incomprensibile. [...] Barry Lyndon è un film di tale splendore che dovrebbe accecare (e dunque sono assolti quelli che, chiudendo gli occhi, conservano un debole ricordo di bei quadri e la sensazione di belle musiche assordanti) oppure infiammare: ogni altra azione tiepida rientra nel paragrafo della patologia del pubblico e va senza dubbio ascritta a quella che è stata definita la caduta della percezione sensoriale, malattia propria delle società dello spettacolo.
[...] Questa storia piuttosto comune, desunta con relativa fedeltà da un romanzo di Thackeray, permette a Kubrick di darci un quadro del settecento alle porte della rivoltatene francese di una profondità e di una verità sconcertanti. Grazie a un talento difficilmente misurabile, e a 11 milioni di dollari, il film apre un paragrafo nuovo e luminoso in quel genere lussuoso, vuoto e sostanzialmente regressivo che siamo abituati a chiamare film in costume. Barry Lyndon opera, in rapporto a questo genere, lo stesso profondo e radicale mutamento che 2001 ha effettuato sul cinema di fantascienza. I costumi, gli ambienti, gli oggetti scenici, il paesaggio, la luce degli interni (una pellicola speciale, ad alta sensibilità, fabbricata dalla Kodak e una macchina da presa progettata per adattarsi a un obbiettivo fotografico della Zeiss hanno permesso a Kubrick di filmare servendosi soltanto della luce delle candele), il maquillage degli attori, in una parola tutto ciò che, da Scaramouche a Via col vento, da Cleopatra a Il dottor Zivago, definisce il genere, non è qui utilizzato come vestito, come costume del film (costume che dovrebbe garantirne, come un lussuoso travestimento, la commestibilità estetica). Barry Lyndon va al di là, distrugge l'idea ingenua che si cela sempre dietro il film d'epoca minuzioso, si difende da quel kitsch e da quel naïf involontari, da quell'amore infantile e rimosso per il museo delle cere, che fanno capolino perfino in Senso. [...]
Nel film di Kubrick la meticolosa veridicità dei dettagli non suggestiona mai col fascino indiscreto e malsano dell'imbalsamazione del passato, ma costruisce, inventa, immagina (esattamente come succede con i modellini, i fondali e le prospettive di 2001) lo spazio vitale, lo spazio psicologico, lo spazio sociale, lo spazio percettivo così come si costituiscono in un dato momento della storia. L'atteggiamento di Kubrick davanti al settecento è l'opposto di quello di Bertolucci davanti al novecento, non solo per la differenza di due secoli: mentre per il secondo il passato sembra essere, prima di tutto, ideologia, e i personaggi che mette in scena idee e pensieri, per il primo esso è l'intreccio dei modi e dei luoghi reali dell'esistenza sociale di uomini reali. Forse per questo Novecento è un film sul mito, mentre Barry Lyndon è un film sulla storia. [...]
Le scene canoniche intorno alle quali il film in costume si è costruito come il western intorno al duello alla pistola, sembrano avvenire per la prima volta. Questi momenti sono esplorati nei loro tempi reali tanto minuziosamente da svelare, bruscamente, la meccanicità con cui gli altri film in costume li hanno quasi sempre rappresentati, riducendoli a retoriche pietrificate. Svelamento, rivelazione e verità che non si risolvono nella frustrazione dello spettacolo interrotto, nel sacrificio dell'emozione uccisa a maggior gloria della ragione, ma nella produzione di uno spettacolo espanso, di un'emozione ancora più profonda, di una partecipazione totale da parte dello spettatore, che quanto più è messo in grado di seguire 'a distanza' la storia poco edificante del signor Barry Lyndon, tanto più ne è commosso e incantato. Qualunque cosa si dica di questo film, si avrà sempre l'impressione di avere dimenticato l'essenziale. Mi limiterò, se non a giustificare il mio entusiasmo, a individuare almeno la ragione principale per cui Barry Lyndon rappresenta per me, e mi auguro per molti altri, un'autentica gioia e una rivelazione. Lontano dal cinema di formule e procedimenti a cui rimanda soltanto per la sua mole produttiva, Barry Lyndon si situa in quella zona dove il cinema è invenzione, ricerca, esperimento. Ma dove tutti, coraggiosamente e confusamente, cercano, Stanley Kubrick trova. Non domanda, risponde.
(Enzo Ungari, Schermo delle mie brame, Vallecchi, Firenze 1978)