XXXV STAGIONE DE “I CONCERTI DELL’UMANITARIA” 2019/2020 | AN DIE FREUDE
Nel 1770, anno in cui nacque Beethoven, Mozart era un adolescente e, caso unico nella storia, stava per iniziare il periodo della sua maturità di compositore. Haydn, quasi quarantenne e al servizio degli Esterházhy, componeva opere sempre nuove per il diletto dei suoi signori e dei loro invitati. Mozart morì nel 1791 e forse incontrò fugacemente un giovane Beethoven mentre Haydn, vissuto fino al 1809, riuscì a dare qualche lezione al giovane Ludwig il quale, nel frattempo, si era trasferito a Vienna.
In Mozart e Haydn i viennesi, esperti di musica come pochi altri abitanti di città europee, avevano individuato i compositori che avevano portato al massimo della perfezione le principali forme della musica classica. Ma già entro i primissimi anni dell’800, una decina d’anni dopo che Beethoven aveva eletto Vienna a sua dimora, chiunque si convinse che quello strano personaggio, aveva raccolto in sé l’eredità dei suoi precursori e l’aveva avviata verso un profondo cambiamento.
Pochi, tuttavia, riuscirono a capire lo sviluppo dell’arte beethoveniana nei lustri seguenti e ancor meno si resero conto dell’importanza ed influenza che i lavori di Beethoven avrebbero esercitato nei secoli a venire. Basti pensare che le ultime composizioni, quelle scritte tra il 1815 e il 1826, non furono capite nemmeno dai più devoti ammiratori che in lui vedevano il più grande musicista vivente. Quando morì, il 26 marzo 1827, quasi trentamila persone presenziarono alle esequie. Vienna, diversamente da come si era comportata con Mozart, non lo abbandonò seppellendolo in una fossa comune. La sordità, che lo aveva minato sin dalla gioventù e che con l’andare degli anni diventò completa, suffragava l’idea che il percorso musicale beethoveniano si fosse diretto verso luoghi inaccessibili.
Fortunatamente il tempo ha sradicato questo pregiudizio, ma non subito. Alcune pagine di Beethoven sono state correttamente comprese, svelandone la portata, solamente nel secolo scorso, quando lo studio e la ricerca di nuovi linguaggi musicali ha manifestato la loro modernità. Altri lavori, più facili all’ascolto, hanno invece influito nell’Ottocento divenendo presupposto della musica europea.
La musica di Beethoven certamente simboleggia il principio di libertà da diverse angolazioni. Dal punto di vista biografico, Beethoven interpretò la sua vita come espressione di libertà dalla dipendenza dell’artista dal mecenatismo. Dal punto di vista stilistico, le sue opere rappresentano non solo un grande passo in avanti del linguaggio musicale, ma per la prima volta un itinerario sperimentale, specialmente nell’ultimo tratto della sua vita.
Questa prospettiva fu la conseguenza di un approccio completamente rinnovato in cui la libertà della concezione e dell’ideazione della musica si completava comprendendo non solo ideali libertari di natura politica, ma anche visioni spirituali e soprannaturali di libertà. L’umanità era rivolta verso il bene, il giusto ed il bello in accordo con gli ideali illuministi sarebbe giunta inevitabilmente ad una condizione di libertà. Così, assolutamente libera, doveva essere necessariamente l’esperienza dell’artista che doveva in questo modo liberare le sue energie interiori.
Sull’esempio di Beethoven ogni compositore a lui successivo si trovò a che fare con la propria libertà. Dentro gli immensi spazi che la musica beethoveniana aveva dischiuso alle generazioni seguenti, ognuno fu costretto a determinare il contenuto, l’espressione ed i suoi mezzi, il linguaggio, la forma, la grammatica e la sintassi di un’arte che, come mai, non aveva più modelli da seguire, come nei tempi precedenti.
Si può pertanto affermare che Beethoven diede l’avvio all’età moderna della musica e che, dalla sua produzione, derivano epoche differenti e anche contrastanti come l’Ottocento ed il Novecento.