Los Angeles, dieci e trenta del mattino del 15 gennaio 1947. Betty Betsinger sta passeggiando con il figlio di tre anni. Tra le erbacce di uno spiazzo che divide la Trentanovesima e Norton Avenue nota quello che sembra un manichino disarticolato. Ma non lo è. È quello che resta di un corpo di donna massacrato e sezionato in due parti, il torso da una parte, il bacino e le gambe a un metro di distanza.
Con la chiamata al 911 della signora Betsinger, quella mattina del 1947, comincia ufficialmente il caso della Dalia Nera. Un femminicidio feroce, spaventoso. Un delitto ancora oggi senza colpevoli. Una storia intricata in cui c’entrano la più potente maitresse di Hollywood, il magnate dell’editoria William Randolph Hearst (il personaggio a cui si è ispirato Orson Welles per Citizen Kane) e lo spietato mafioso Bugsy Siegel. Ma c’entra anche il luccicante mondo delle star di Hollywood, e la polizia di Los Angeles, allora corrotta come poche altre volte nella sua storia.
Dopo qualche giorno di indagini la Dalia Nera ha un nome. Si chiama Elizabeth Short, ma si faceva chiamare Beth. Aveva 22 anni, veniva dal Massacchussets ed era arrivata a Los Angeles, come molte ragazze della sua età, con il sogno del cinema. La chiamano Dalia Nera perché ha una passione per un film, La Dalia Azzurra, scritto da Raymond Chandler, per via del quale porta spesso una dalia per adornare i capelli corvini. È molto bella, incarna perfettamente l’ideale di bellezza femminile degli anni Quaranta.
THE BLUE DAHLIA di Raymond Chandler (1946)
Le indagini sul detto sono state vastissime, hanno coinvolto centinaia di agenti e di detective, così come centinaia sono stati i sospettati e migliaia le persone interrogate. Sessanta uomini si sono accusati del delitto, ma mentivano. Più di settant’anni dopo è ancora un caso irrisolto. Le teorie che negli anni si sono succedute sono centinaia, dalle più credibili alle più complottiste, come quella che individua in Orson Welles l’omicida.
Sul caso della Dalia Nera sono stati scritti centinaia di libri, tra saggi, soprattutto di criminologia, e romanzi. Per esempio, gli scrittori italiani Diego Giuliani e Sabrina Ramacci hanno dedicato all’omicidio di Beth Short un lungo e documentato capitolo del loro libro Hollywood Criminale, sposando una delle teorie più credibili. L’accanimento, particolarmente feroce, con cui l’assassino ha seviziato il corpo di Elizabeh Short ricorda i metodi della mafia. In particolare i tagli che le aprono la bocca dalle labbra fino alle orecchie erano un trattamento che i mafiosi riservavano a chi aveva parlato troppo, o a chi si voleva evitare che parlasse. Elizabeth Short aveva un segreto che non si doveva sapere?
Sembra, da files desecretati recentemente, che Beth, al momento della morte, fosse incinta. Era questo che non si doveva sapere? O, più probabilmente, il vero segreto era l’identità del padre? Il dettaglio della gravidanza metterebbe in collegamento, tra l’altro, la morte di Beth con quella di altre soubrette, avvenute ad Hollywood nello stesso periodo. Di sicuro c’è che il caso della Dalia Nera ha ispirato, come detto, moltissimi libri, ma anche canzoni, film, documentari, perfino fumetti e videogiochi. Tra tutti coloro che si sono occupati del caso di Beth Short c’è uno scrittore che ne ha fatto quasi un’ossessione. E non si tratta di uno scrittore qualunque, si tratta di James Ellroy, uno dei massimi scrittori di noir di sempre.
Quando Ellroy ha 10 anni sua madre, Geneva “Jean” Hilliker viene brutalmente uccisa. Il delitto segnerà la vita dello scrittore per sempre. Ellroy ha una gioventù turbolenta, passa diversi anni in quello che lui chiama “il giro di giostra”. Alcol, benzedrina, marijuana, qualche furto, qualche soggiorno nelle patrie galere, qualche mese vivendo per strada. Dura un bel po’, poi va agli Alcolisti Anonimi e si ripulisce. Comincia a scrivere e a pubblicare romanzi. È ossessionato dal delitto della Dalia Nera, che gli ricorda quello di sua madre. C’è un solo modo per spegnere quell’ossessione. Scrivere un grande romanzo. E James Ellroy si chiude a casa un anno e lo scrive. «Mi ha diretto Betty Short», dice. «Ho costruito il suo carattere collegando diverse tracce di desiderio maschile e cercando di ritrarre il mondo maschile che aveva decretato la sua fine». Il libro è dedicato a sua madre, è un capolavoro e un bestseller. Ne trarrà, anni dopo, un film Brian De Palma.
Da The Black Dahlia in poi James Ellroy inizia a scrivere romanzi sempre più potenti e di successo. Nei suoi noir non ci sono eroi nobili e solitari, c’è la Los Angeles segreta che per la prima volta aveva intravisto il giorno in cui era morta sua madre, sul cui omicidio indagherà insieme ad un detective privato. Non troverà i colpevoli, ma scriverà un libro, I miei luoghi oscuri, un romanzo epocale, che ha spostato più in alto l’asticella del noir.
Nessuno più di Ellroy ha saputo raccontare il lato oscuro della Los Angeles e della Hollywood di quegli anni. Quel lato oscuro che ha ucciso Beth Short.