Nino Chiappano e la scuola preparatoria Dante Bellamio |
Negli anni ’50, a dieci anni dalla Liberazione, il volto dell’Italia sta cambiando. Dopo i decenni di arretratezza a cui il fascismo aveva condannato il paese, si sviluppano, soprattutto nel Nord, le industrie: masse enormi di contadini si trasferiscono dalle campagne nelle grandi città per trasformarsi in operai, tecnici, impiegati. Ma lo sviluppo economico e civile del Paese esige lavoratori professionalmente qualificati e cittadini culturalmente attrezzati.
A un Paese che vuol essere moderno corrisponde tuttavia una scuola che non lo è. Il sistema scolastico è ancora quello ereditato dal regime fascista, perché all’età di dieci anni i ragazzi si trovano a dover scegliere tra due alternative: da un lato una scuola media dove si studia il latino e non si svolgono attività pratiche, che però apre le porte agli studi superiori destinati a formare la classe dirigente; dall’altro i diversi indirizzi delle scuole di avviamento al lavoro (industriale, agrario, commerciale, marinaro i principali), unico sbocco per chi sarà inesorabilmente destinato ai compiti esecutivi.
Tutti, forze politiche e opinione pubblica, convengono sulla insostenibilità di questo assetto, pedagogicamente irragionevole perché non orientativo, intrinsecamente classista, evidentemente inadeguato data la povertà dell’istruzione anche professionale fornita dalle scuole di avviamento. Ma non si sa scegliere una nuova formula. E così l’Umanitaria decise di affrontare il problema con un coraggioso approccio pragmatico e sperimentale.
“Scuola preparatoria di avviamento e orientamento professionale” si chiamò dunque la scuola per i ragazzi alla fine delle scuole elementari che Riccardo Bauer (ispirandosi alla più avanzata pedagogia, non solo italiana) istituì dal 1956 presso l’Umanitaria. Ne affidò la direzione a Nino Chiappano, un giovane professore di liceo che era stato allievo di Bianca Ceva, e gli affiancò come consulente pedagogico Francesco de Bartolomeis dell’Università di Torino. La Scuola preparatoria era dichiaratamente un esperimento, e implicitamente una proposta: di “fare del lavoro non un intento professionale, ma uno strumento di apertura culturale e di rivelazione attitudinale” (parole di Bauer). Una scuola insomma che anche ai lavoratori consentisse il “privilegio della cultura” per secoli ad essi negato.
La scuola preparatoria si svolgeva a tempo pieno, otto ore, compresa la colazione in comune; gli insegnanti seguivano all’inizio dell’anno un corso di preparazione pedagogica e didattica; partecipavano alle riunioni quotidiane con i genitori, al termine delle lezioni, per confrontarsi sulle loro esperienze; ai rapporti con le famiglie era inoltre dedicato il Servizio sociale scolastico, che affiancava il Servizio psicologico e il servizio medico.
Nino Chiappano ne elaborò le fondamenta: il tempo pieno consentiva di rispettare gli obblighi curricolari istituzionali (formalmente la scuola preparatoria era un “avviamento al lavoro”) e di integrarli con le nuove intenzionalità pedagogiche. La scuola applicava infatti i metodi della discussione, del lavoro di gruppo, della ricerca, dell’apprendimento cooperativo (allora pressoché sconosciuti in Italia); la valorizzazione delle varie forme di espressività; il rigore dell’approccio scientifico e l’attenzione agli aspetti emotivi della relazione tra allievi e docenti e tra gli allievi stessi. Qui si declinarono i principi della scuola attiva in una esperienza concreta, capace di rinnovarsi ogni anno con nuove iniziative e nuove attività, fornendo indicazioni preziose per l’introduzione in Italia, dal 1964, della nuova Scuola Media Unica.
Chiamato dall’Unesco a dirigere i programmi di scolarizzazione in diversi paesi del mondo, Chiappano percorse una carriera impegnativa, anche nel campo dell’educazione degli adulti. Ma il suo più grande orgoglio, mi diceva a pochi mesi dalla morte, rimase “la meravigliosa avventura della Scuola preparatoria dell’Umanitaria”.
Nino Chiappano and the Adventure of Educational Training Dante Bellamio |
In the 1950s Italy was changing. The economic and civil development of the country required qualified workers and culturally prepared citizens. In the classrooms of the Società Umanitaria the first task to face was that of dealing with the thousands of workers who flocked there after work to build a better future, transforming themselves from peasants into skilled workers. But, while the country was striving to be modern, education lagged behind. The education system was the legacy of Fascism. At the age of ten children had to choose to attend either the selective middle school, where Latin was taught, and which opened the door towards further studies for the ruling classes, or alternatively an occupational training school for manual jobs, which was the only outlet for those destined to do practical jobs.
It was an unsustainable system, pedagogically irrational, intrinsically class-ridden, clearly inadequate. And so the Società Umanitaria decided to tackle the problem pragmatically in order to find a new formula by founding a “school for occupational training and vocational guidance” as it was defined, which would follow the elementary school. It was established by Riccardo Bauer in 1956, directed by Nino Chiappano, with Francesco de Bartolomeis as pedagogical advisor. Students attended full time and teachers followed a course in teaching skills and didactics. Teaching staff met with parents and relationships with families were also followed by the school’s social, medical and psychological services. The methods applied by the school involved discussion, team work and collaborative learning. Emphasis was placed on the various forms of expression, the scientific approach and attention to the emotional aspects of teacher-student relationships and those between the students themselves. Here the principles of education were transformed into a concrete experience, which was renewed each year with fresh initiatives, providing important directives for the introduction of the new Scuola Media Unica in 1964.
Nino Chiappano was asked by UNESCO to manage educational programmes in different countries and his career was one of commitment, also in the field of adult education. However, what he was most proud of, he told me a few months before his death, was “the wonderful adventure of the Scuola Preparatoria of the Umanitaria”.