La fotografia per Paolo Monti, visivo visionario Roberto Mutti |
Chi è quell’uomo senza particolari segni di distinzione se non quella di un’eleganza sobria che si aggira curioso fra campielli e calli di Venezia con la sua macchina fotografica? Si chiama Paolo Monti, è nato a Novara nel 1908, si è laureato a Milano in economia, ha lavorato alla Montecatini, ma poi quel bel percorso lineare lo ha annoiato, così si è licenziato per approdare a Venezia come vicedirettore del Consorzio Agrario.
Poi un giorno del 1946 capita nel negozio che i fratelli armeni Pambakian hanno aperto a due passi da piazza San Marco e incontra altri appassionati. Quell’intellettuale raffinato che ama ugualmente la “photographie humaniste” di Robert Doisneau, Henri Cartier-Bresson, e il reportage americano di Eugene Smith, è destinato a diventare nel 1948 il primo segretario del neonato gruppo “La Gondola” che avrebbe costituito una parte significativa della storia della fotografia italiana del dopoguerra.
Quando, nel 1953, Monti lascia Venezia per iniziare a Milano una nuova carriera di fotografo professionista, porta con sé sia la passione che lo guidava da amateur sia le sue grandi capacità di insegnamento che applicherà poi nei corsi tenuti alla Scuola del Libro dell’Umanitaria, dove un critico acuto come Antonio Arcari lo definisce “maestro nel senso pieno della parola”, perché nell’insegnamento sapeva essere insieme rigoroso e creativo, esigente e generoso.
Pur avendo insegnato solo dal 1963 al 1967 nei corsi tecnico-artistici diurni per fotografi e grafici, Monti lascia lì una traccia significativa soprattutto dal punto di vista metodologico. Questa, infatti, è un tipo di scuola che ben corrisponde alla sua visione ugualmente attenta agli aspetti estetici come a quelli tecnici, come ben ricorda Arcari, che di Monti fu collega. “Nei corsi di fotografia che teniamo all'Umanitaria, una delle prime fondamentali lezioni è quella che riguarda il punto di vista. Non si tratta di una lezione di carattere solamente teorico, ma di una serie di esperienze pratiche che cercano di dare agli allievi, e in realtà danno, un substrato d’ordine culturale, una precisa consapevolezza delle ragioni del proprio operare, così che i diversi momenti dell’esperienza possano diventare formativi: avviamento all’assunzione di un metodo di ricerca ragionata, volontaria, consapevole e non semplicemente casuale”.
Per meglio comprendere quanto Monti sia stato coinvolto nella didattica basta scoprire nell’archivio Umanitaria le numerose fotografie da lui scattate per documentare i corsi diurni e serali di ebanisti, saldatori, argentieri e grafici, le mostre di fine anno, gli incontri con grafici allora notissimi come Noorda, Steiner, Boggeri, Carboni.
Affascinato dall’architettura, non dimentica tuttavia una ricerca che approda anche ad immagini astratte a colori con cui inaugura, nel 1967 a Milano, la famosa Galleria il Diaframma. Presentando quella mostra scrive: “penso che in sostanza un fotografo debba essere più che un visivo. Un visivo visionario”.
Paolo Monti, a Visionary Photographer Roberto Mutti |
Who is that man that wanders through the “campielli” and “calli” of Venice, without attracting attention apart from his sober but elegant attire, seeking and discovering the city’s dark and yet fascinating spirit with his camera? It is Paolo Monti, born in Novara in 1908, with a degree in economics from Milan University. He worked for the Montecatini company, but found the linear career boring, so he resigned and went to Venice to take up the post of vice-manager of the Consorzio Agrario.
One day he happened to call in at the shop that two Armenian brothers, the Pambakians, had opened just a stone’s throw away from St Mark’s Square. Here he found other book lovers who met to leaf through books and talk about their desire to do new things. This refined intellectual, who was equally passionate about the photographie humaniste of Robert Doisneau, Henri Cartier-Bresson, Willy Ronis, and the feature articles of “Life”, in 1948 became the first Secretary of the newly-formed group La Gondola, which was to play a significant part in the history of Italian post-war photography.
When Monti left Venice in 1953 to embark on a new career as a professional photographer in Milan, he took with him both the passion that had driven him as an amateur and his exceptional qualities as a teacher, which he employed in his courses at the University of Bologna, and in Milan at the Società Umanitaria. This aspect of his biography is sometimes overlooked, even though a sharp critic such as Antonio Arcari defined him as “a master in the full sense of the word”, because in teaching he knew how to be both strict and creative, demanding and generous. Although he only taught from 1963 to 1967 in the technical artistic day courses for photographers and graphic artists, Monti left a significant legacy both from the methodological and the didactic point of view. You only have to consult the Società Umanitaria’s archives to discover the many photos he took to document day and evening courses for cabinet makers, solderers, silversmiths, end-of-year exhibitions, meetings with famous graphic artists such as Noorda, Steiner, Boggeri and Carboni.
Though fascinated by architecture, he did not neglect his research on the abstract images in colour with which he inaugurated the famous gallery, Il Diaframma, in 1967 in Milan. When he presented that exhibition he wrote: “I think that a photographer should do more than just visualise an image, he should be a visionary.”