Un duro colpo: il ‘68 investe l’Umanitaria Claudio A. Colombo |
“Scongiuroti riprendere tuo posto dimenticando offese subite Tuo passato et tuo carattere nobilissimi ti pongono al di sopra di ogni meschinità Pensa solo al bene dell’Umanitaria cui hai dedicato il meglio di te stesso”. Firmato Sandro Pertini, Roma, 26 giugno 1969.
Tra la mole di documentazione ancora “congelata” per non ledere la privacy dei tanti protagonisti coinvolti, il telegramma di Pertini a Bauer è uno di quelli più accorati. Anche perché si riferisce ad una delle pagine più drammatiche della storia dell’Umanitaria, durante quasi nove mesi di agitazioni, di tira e molla, di rivendicazioni, che la tengono in qualche modo “in ostaggio”, prima di passare il “bastone del comando” nelle mani del Prefetto Vincenzo Vicari, durante il terzo commissariamento comminato all’Ente (il primo era stato imposto da Bava Beccaris nel 1898, il secondo dai gerarchi fascisti nel 1924).
Tutto ha inizio il 24 settembre 1968, con la decisione (sofferta) di sopprimere alcuni corsi professionali, comportando anche riduzioni di organico. Al grido di “L’Umanitaria è nostra e la vogliam diversa”, insegnanti, dipendenti e studenti scendono in campo. Seguono mesi di fuoco, dove l’attività didattica va avanti a singhiozzo, ridotta ad un continuo susseguirsi di scioperi e cortei, di accuse e di slogan, fino all’inevitabile prologo di una contestazione che, l’11 maggio 1969, si trasforma in vera occupazione.
Sbarrati gli ingressi, l’occupazione ha inizio. Non solo assemblee e cortei, ma tante attività socio-culturali, con la volontà di capire un momento storico anche attraverso la partecipazione di artisti (una mostra di opere – tra cui Treccani, Munari, Mari – servirà a finanziare gli occupanti), musicisti (due i concerti organizzati, classica e jazz), intellettuali (Herbert Marcuse parlò di rivoluzione nel Salone degli Affreschi). Ma i manifesti che si sventolano evidenziano un malessere diffuso: “Umanitaria autoritaria ???”, “Umanitaria SÌ Autoritarismo NO”, “Una facciata socialista non deve nascondere una realtà borbonica” e tanti altri ancora….
“Quella miscela era davvero esplosiva”, ricordavano nel 1993 a Guido Vergani due docenti dell’Umanitaria, Angela Panigada e Gianfranco Mazzocchi. “Ma non fu furore ideologico, se non in qualche frangia. Ragioni per lottare ce n’erano. L’Istituzione era invecchiata. Colpa di Bauer? No. Ormai Bauer era una figura mitica, ma molti di noi professori lo sentivamo non partecipe ai nostri problemi, che erano anche problemi pratici perché, nella stragrande maggioranza, noi docenti eravamo precari, assunti con contratti a termine. Certo, lo Stato era tardivo nei finanziamenti. Ma non perdonavamo alla Direzione di risparmiare sui corsi per far sopravvivere gli uffici studi”.
Il madornale errore, umano e politico, è l’assalto all’ufficio di Bauer, travalicando le ragioni della contestazione al grido di “fascista, fascista”. Il dialogo, pur tenue, cessa di colpo: il Consiglio Direttivo si dimette in toto, si insedia il commissario prefettizio, e si chiude un’epoca.
A Heavy Blow: the Troubles of 1968 Claudio A. Colombo |
“I beg you to resume your place and forget the injuries you have suffered. Your splendid past and your noble character place you above any pettiness. Think only of the good of the Umanitaria, to which you have given the best of yourself”. Signed Sandro Pertini, Rome, 26 June 1969.
Pertini’s telegram to Bauer refers to one of the most dramatic chapters in the history of the Società Umanitaria, almost nine months of unrest and reprisals, in a way holding the institution hostage, before handing over the reins to the Prefect, Vincenzo Vicari. It was the third time that the management of the institution had been commandeered (the first takeover was imposed by Bava Beccaris in 1898, the second was under Fascism in 1924).
It was the painful decision to suppress some technical artistic and technical training courses (minutes of the Board meeting of 24 September 1968), with a corresponding downsizing of the organisation, that triggered the protest in the autumn of 1968 by the staff and many of the students. They were immediately supported to some extent by the trade unions and left-wing extremists. Shouting the slogan “The Umanitaria is ours and we want it to change”, teachers, employees and students began their protest. Months of turmoil followed, with teaching going on in fits and starts, an endless succession of strikes and demonstrations, accusations and slogans, culminating in the inevitable occupation of the building on 11 May 1969, when the protesters took possession of the building and blocked the entrances.
This is how two former teachers of the Società Umanitaria, Angela Panigada and Gianfranco Mazzocchi, told the story to Guido Vergani in 1993. “The institution had grown old. Was it Bauer’s fault? No, Bauer by now was a distant figure. Many teachers like us felt that he did not participate in our problems, which were actually practical problems because our jobs were mostly precarious, we had been taken on with short term contracts. Certainly, the State was slow and unwilling to provide funds. But we couldn’t forgive the management for suppressing courses to save the publishing and research offices.”
The gravest mistake from both the human and political point of view, was the attack on the President’s office, violating the reasons for the protest with shouts of “Fascist, Fascist”. All dialogue ceased immediately, the Board resigned, the Prefecture took over.
It was the end of an era.