Verso una bellezza per tutti Antonello Negri |
L’Esposizione regionale lombarda d’arte decorativa organizzata dalla Società Umanitaria nel settembre-ottobre 1919 – lo stesso anno del Bauhaus nella Germania di Weimar – costituì uno snodo decisivo, in Italia, per quanto ancora non si chiamava design. Tra le idee dei promotori – Raffaello Bertieri, Giannino Castiglioni, Guido Marangoni, Alfredo Melani, Margherita Sarfatti, per ricordare alcuni – c’era quella di “incoraggiare la creazione e la produzione di arredi economici per la casa del popolo, che pure deve essere allietata da semplici ma pure forme di bellezza”.
Il pensiero sottostante la mostra del 1919 s’innestava sulla linea, ancora vitale, del movimento delle Arts and Crafts ispirate agli ideali socialisti di William Morris; ma appare soprattutto affine a quel programma di “arte sociale” della “sezione artistica” del Partito operaio del Belgio del quale fu geniale protagonista Henry van de Velde (dal 1902 direttore della Scuola di arti applicate da cui sarebbe nato il Bauhaus). “Arte sociale” voleva anche dire aprirsi alle arti decorative e applicate – ceramiche, vetri e pannelli decorativi, mobili, libri illustrati – la cui rinnovata progettazione e diffusione poteva mettere a disposizione di tutti oggetti “belli” e al tempo stesso portatori di migliori standard di vita per la propria funzionalità.
Nella Milano del dopoguerra la mostra del 1919 doveva essere la prima di una serie di Esposizioni speciali d’Arte decorativa volte a “stimolare le genialità creatrici del nostro paese, a educare il gusto del pubblico, offrendo anche all’industria produttrice modelli di lavoro, pratici e di buon gusto”. Il tema specifico era l’arredamento della casa, con una particolare attenzione per la “casa popolare”, ed erano chiamati a partecipare, con le proprie idee e progetti, artisti e “artefici” del mobile, delle tappezzerie, delle decorazioni murali, della ceramica, del ferro battuto, dell’argenteria e dei cuoi. I migliori prototipi sarebbero dovuti entrare nel ciclo della riproduzione industriale.
In sé, gran parte dei pezzi esposti, di dominante impronta eclettica con punte di neosettecentismo, era ancora fortemente imbevuta di un gusto passatista, come lo avrebbe potuto chiamare un futurista. D’altra parte, le aperture al nuovo non erano affatto poche, al di là di consolidate eccellenze come i ferri di Alessandro Mazzucotelli; basti citare i vasi in legno intagliato di Gio Ponti, le stoffe di Rosa Menni, il protodesign ‘ricamato’ di Marcello Nizzoli, i giocattoli di carta di Edina Altara, le bambole e i giochi di Anna Beatrice D’Anna e Gemma Pero.
Era l’inizio folgorante di una splendida stagione milanese il cui punto d’arrivo sarebbe stata l’inaugurazione, nel 1933, della quinta Triennale nel Palazzo dell’Arte: in mezzo, la trasformazione della “regionale” del 1919 nella Prima biennale nazionale di arte decorativa del 1923 nella Villa Reale di Monza (promossa dal Consorzio Milano-Monza-Umanitaria), seguita da altre tre edizioni monzesi, l’ultima diventata ‘triennale’, prima del ritorno in città. L’Esposizione regionale dell’Umanitaria del 1919 aveva aperto la strada che avrebbe portato Milano a diventare una capitale del design internazionale.
Towards Beauty for All Antonello Negri |
The Esposizione regionale lombarda d’arte decorativa, organised by the Società Umanitaria in 1919 – the same year as the Bauhaus at Weimar in Germany – was a turning point in Italy for what at the time was not yet referred to as “design”. The promoters included Raffaello Bertieri, Giannino Castiglioni, Guido Marangoni and Margherita Sarfatti, and one of their ideas was “to encourage the creation and the production of low-cost furnishings, which would be simple in form but also beautiful”. The thinking behind the exhibition was in line with the ideas of the arts and crafts movement, inspired by the socialist ideas of William Morris. More particularly, it conformed to the “social art” project of the arts sector of the Workers’ Party in Belgium, led by Henry van de Velde (from 1902 he was director of the school of applied arts which gave birth to the Bauhaus movement).
The term “social art” implied new possibilities for the development of applied and decorative art, making available to everyone objects that were beautiful and at the same time functional. In post-war Milan, such ideas were given a boost with the 1919 Exhibition, the first of a series of its kind, whose aim was “to stimulate the creative genius of our country, to educate public taste, offering to manufacturers models that were both practical and in good taste”.
The specific theme was home furnishings, with the participation of creative artists in furniture design, wallpaper design, wall decor, ceramics, wrought iron, silver and leather work. The best prototypes were intended to be manufactured industrially. Many of the exhibits were eclectic in design, recalling the style of the 1700s, but strongly traditional from the futurist point of view.
On the other hand, innovation was not lacking, as seen in the much-acclaimed wrought iron creations by Alessandro Mazzucotelli, the Rosa Menni’s fabrics, Marcello Nizzoli’s elaborated “proto-design”, Edina Altara’s paper toys and the dolls and toys of Anna Beatrice D’Anna and Gemma Pero. It was the dazzling opening of a golden season for Milan: The Esposizione regionale of the Società Umanitaria had paved the way towards making Milan the capital of international design.