Quando “La Coltura Popolare” faceva scuola

Quando “La Coltura Popolare” faceva scuola
Barbara Bracco
 Italiano

Nell’eterno dibattito sulla riforma della scuola italiana in ogni suo ordine e grado, può essere forse utile ricordare che l’Italia è stata – almeno nel secolo scorso – terreno fertile per dibattiti sulla pedagogia e sui problemi della scuola. A questa lunga tradizione scientifica italiana appartengono non solo le grandi riviste, ma anche quelle piccole testate che, pur essendo considerate tutt’oggi prive di qualche interesse storiografico, hanno comunque contribuito alla diffusione dei temi pedagogici ed alla creazione di un clima di intenso e profondo interesse per la scuola. Tra queste va sicuramente inclusa la “Coltura popolare”, uno dei periodici dell’età liberale più attenti ai temi della scolarizzazione in Italia.
La rivista (che assunse poi il nome più moderno di “Cultura popolare”) trattò infatti tra il 1911 e il 1933, e poi ancora tra il 1950 e il 1977, i principali temi riguardanti la diffusione della scolarizzazione in Italia, i metodi più avanzati di insegnamento, l’istruzione degli adulti e degli emigranti, l’introduzione di nuove materie di insegnamento, l’istituzione di scuole professionali, insomma tutti quei temi che sono stati parte integrante del dibattito sulla cultura popolare, sviluppatosi in Italia nel corso del ‘900.
Organo della Unione Italiana dell’Educazione Popolare, il periodico milanese fu diretto nella fase iniziale da un comitato formato da Emidio Agostinoni, Ettore Fabietti, Silvio Varazzani e sotto la direzione di Augusto Osimo, Giuseppe Ricchieri, Eugenio Rignano, Rodolfo Rusca, Cesare Saldini, Filippo Turati. Esponenti del riformismo milanese già raccolti attorno alla Società Umanitaria, alle Università Popolari e alla Federazione delle biblioteche popolari, davano così vita ad un’iniziativa con un chiaro intento di pedagogia nazionale, non a caso assai elogiato da riviste come Critica Sociale e La Voce.
Malgrado l’evidente orientamento politico, si tendeva a prendere decisamente le distanze da ogni partito, vecchio o nuovo che fosse. “Nei partiti politici – si leggeva nel manifesto della rivista – noi scorgiamo oggi mai il bigio che invade. Nei vecchi partiti, che immiseriscono ogni giorno più nelle cabale sceme; nei nuovi, che han dato lo scossone alle genti assonate, e sembrano esausti, e van brancolando ancor essi. E l’egoismo li avviluppa, e lo sconforto li invade”.
In realtà, la rivista in più di una occasione assunse precise posizioni politiche. Lo fece certamente alla scoppio della Grande Guerra quando, a dispetto della neutralità dichiarata, il comitato direttivo si mise chiaramente in sintonia con l’interventismo democratico. Lo fece anche successivamente quando evidenziò il suo dissenso rispetto alla politica culturale del fascismo. Ciò non valse al periodico la sua salvezza. Nel 1933 il prefetto di Milano, considerando “pericolose” alcune osservazioni marginali del periodico, decise la chiusura della rivista, che solo dopo la seconda guerra mondiale sarebbe risorta con altri collaboratori e, naturalmente, altra impostazione.

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The Experience of “La Coltura popolare”
Barbara Bracco
english

In the unending debate on the reform of the Italian education system at every level, it is worth remembering that Italy was – at least during the last century – fertile terrain for debates on pedagogy and educational issues. Both important journals and less well known reviews belonged to this long tradition, which helped to create a climate of deep and intense interest in education. One of these minor publications was “La Coltura popolare”. Though it had no particular intellectual pretensions and its contributors were not widely known, it was a periodical of liberal Italy that was especially attentive to the educational issues of the day.
From 1911 to 1933, and later from 1950 to 1977, the journal (which later took the more modern name of “Cultura popolare”) dealt with the main issues relating to the dissemination of literacy throughout Italy, as well as topics such as the most advanced teaching methods, extra help for weaker students, the education of adults and emigrants, the introduction of new scholastic subjects, the institution of vocational schools and all the other questions concerning the culture of the people, which continued to evolve throughout the 20th century.
The journal, which was published in Milan, was the organ of the Unione Italiana dell’Educazione Popolare and its editor was Augusto Osimo. Other contributors included major Milanese reformists such as Ettore Fabietti, Giuseppe Ricchieri, Rodolfo Rusca, Cesare Saldini and Filippo Turati, who were already involved with the Società Umanitaria, the universities of the people and the Federazione delle Biblioteche Popolari. Thus the journal contributed to opening the debate on educational questions throughout the country.
Despite its clear political orientation, the promoters of the initiative did not want it to be associated with a specific political party. Indeed, they tended to distance themselves from all political parties, old and new. Nevertheless, the journal did on more than one occasion take a precise political stand. It did so, for example, on the outbreak of World War I, when, despite the declaration of neutrality, the editorial board was clearly in favour of democratic intervention. It did so again, when it opposed the cultural policy of the Fascist regime, to the point where, in 1933, the Prefect of Milan decided to close down the journal, on the grounds that some of its comments were potentially “dangerous”. It resumed publication only after the Second World War, with new contributors and a new approach.