Passaggio scuole regione Lombardia

Il passaggio delle scuole professionali alla Regione Lombardia
Marino Livolsi
 Italiano

Siamo alla fine degli anni Settanta. Un periodo molto difficile per l’Umanitaria anche se non come ai tempi del Fascismo. Sui giornali del tempo apparivano titoli che parlavano di “liquidazione”, “chiusura” e impossibilità di retribuire il personale. Il vecchio Consiglio si era dimesso, il nuovo cercava freneticamente di trovare una via d’uscita. Nel nuovo ne facevano adesso parte – nominati dal Comune – rappresentanti delle forze politico-sociali.
passaggio scuole Reg LombL’appoggio dei partiti e dei sindacati era innegabile, ma il passaggio, dalla “volontà di intervenire” alle decisioni concrete, era reso difficile (soprattutto) dalle insidie legislative che praticamente impedivano il concreto realizzarsi delle iniziative che sembravano più logiche e funzionali. Il rischio del commissariamento, se non della chiusura, diventava di giorno in giorno più concreto.
Per chi amava l’Umanitaria, per i milanesi tutti, sembrava impossibile accettare tale destino. La realtà era alquanto assurda: l’Umanitaria possedeva due quartieri di abitazione (con centinaia di appartamenti), alcune cascine nell’hinterland milanese, poteva destinare a costruzione una modesta parte del suo terreno con scopi privato-pubblici (ad esempio da destinare al Tribunale da sempre in grave crisi di spazi), viveva su spazi inizialmente di grande pregio architettonico, gestiva alcune scuole di formazione professionale, ecc.
Di contro era difficile far fronte alle crescenti spese di manutenzione straordinaria (l’edilizia “razionalistica”, o meglio i materiali utilizzati, non avevano retto neppure pochi anni) e soprattutto alle spese relative al personale. Il bilancio era di circa 2 miliardi annui coperti con difficoltà, per effettive prestazioni o contributi, da quanto stanziato da Comune o Regione.
Si doveva intervenire in fretta. L’unica strada era la dismissione di una parte del patrimonio allo scopo di mettere a punto un programma sociale e culturale che Milano si attendeva come reinterpretazione della fondamentale missione dell’Ente. Sarebbe stato importante discutere (e avviare iniziative) sui motivi della crisi della città, non più capitale industriale, incerta sulle sue nuove vocazioni, “laboratorio di soluzioni politiche” suggerite dallo strisciante disincanto-disaffezione verso la politica. Ma la sempre più drammatica crisi di liquidità obbligava a stringere i tempi: a decidere sulle priorità. Cosa era meglio fare: alienare le cascine (ricche ma affitti ridicoli obbligati per legge), le case (dove parte degli occupanti era tutt’altro che povero), stringere sinergie possibili per la costruzione di un nuovo stabile?
Solo per ultimo si pensava a cedere le scuole. Queste si sposavano perfettamente alla tradizione dell’Umanitaria: sarebbe stato possibile tentare una sperimentazione che unisse, nei programmi, scuola e lavoro. Un obiettivo che ancor oggi appare difficile ma irrinunciabile. Le scuole dell’Umanitaria erano all’avanguardia: quella per grafici era molto nota, sfornava ottimi professionisti, e stava iniziando a sperimentare nel campo degli audiovisivi. La Scuola per assistenti sociali avrebbe potuto indicare nuove vie e settori d’intervento per una società in cui poveri ed emarginati erano un fenomeno diverso rispetto al passato.
Ma qui cominciavano le difficoltà: le associazioni non potevano per legge vendere, alienare anche parte del proprio patrimonio, salvo essere messe in liquidazione. Nel frattempo, con molto dolore, era stato obbligato mettere in libertà (brutta espressione!) parte del personale. L’intervento del Comune permise di assumerlo in AMNU, SEA e AEM. Non avrebbero almeno perso il lavoro.
Ma ciò non bastava. Il tempo stringeva sempre più. Quando la Regione si offrì di assumere la gestione delle Scuole parve una soluzione da non lasciar cadere. Non fu una decisione facile. Una parte del Consiglio avrebbe voluto battere altre strade, possibili anche se complicate. Prevalse l’ansia di non perdere un’occasione concreta. Si arrivò ad una decisione e ad un voto solo a maggioranza. Non si parlò più, al momento, di nuove prospettive. Seguì un periodo cui le forze politico-sociali parvero occuparsi meno dell’Umanitaria. Ma questa è ormai una storia passata. Il presente è certamente migliore.


The takeover of the Schools by the Regione Lombardia
Marino Livolsi
english

The late Seventies were a very difficult time for the Società Umanitaria. Newspaper headlines spoke of “liquidation”, “closure” and the impossibility of paying the workforce. The old Board resigned, the new one desperately sought a way out, having to face the legislative problems that prevented the concrete implementation of more practical solutions. The risk of being taken over, or even of closure, loomed larger by the day.
For those who loved the Società Umanitaria, for all the people of Milan, such a fate was totally unacceptable. The reality of the situation was absurd: the Società Umanitaria owned two neighbourhoods (with hundreds of apartments), farms in the Milanese hinterland, land that could be used for new buildings (for example to expand the Law Courts, which were in desperate need of space), its premises had a high architectural value, it was in charge of the running of vocational schools, and so on.
Conversely, it was difficult to meet the increasing costs of extra maintenance and especially to pay its workforce. Rapid intervention was needed. The only solution was to dispose of a certain part of its assets, in order to put in place a social and cultural programme, which Milan expected from it in terms of the reinterpretation of its original mission. It was essential to discuss the reasons for the crisis of the city and launch relevant initiatives. Milan was no longer the industrial capital, it was unsure of its new vocations, but it was a “laboratory of political solutions”, prompted by the insidious disenchantment with politics.
Giving up the Schools was seen only as a last resort. The Schools fitted perfectly into the tradition of experimentation, able to combine school and work in its programmes. The Società Umanitaria’s schools were still very up to date, the School of graphic art was famous, it turned out highly qualified professionals, and it was starting to experiment in the audiovisual field. The School for social workers might indicate new ways and areas of intervention for a society in which the problem of the poor and the marginalised was different as compared to the past.
Unfortunately, by law, the associations could neither sell nor give up any part of their assets. When the Regione Lombardia offered to take over the running of the Schools it seemed to be a solution not to be missed. It was not an easy decision, but the anxiety over the possible loss of a concrete opportunity prevailed.