1961 — Le scuole della Società Umanitaria

Nel 1961, lo scrittore Luciano Bianciardi venne incaricato dal Touring Club Italiano di fare un reportage sull’Umaniatria. Ad un anno dalla pubblicazione del suo capolavoro, La vita agra, lo scrittore grossetano si immerge per una giornata piena nelle scuole dell’Umaniatria, di cui visita locali e laboratori, convitto e strutture educative, mangiando con i docenti, parlando i ragazzi, discutendo con il Presidente di allora, Riccardo Bauer. Il suo reportage venne pubblicato sulla rivista del TCI, “Le vie d’Italia”, nel febbraio del 1961 e qui ne diamo una sintesi particolareggiata.

Non diresti che qui sono cadute le bombe; i bei chiostri che hai dinanzi serbano la loro forma antica; segno che gli architetti hanno lavorato bene. Non solo, hanno saputo legare il vecchio al nuovo in modo ammirevole: oltre quella finestra infatti, oltre quegli alberi annosi, ecco il vetro e il cemento, il chiaro degli edifici moderni. Quello, ci spiegano, si chiama padiglione dei lavori pesanti, quell’altro padiglione dei lavori leggeri. Là c’è la scuola del libro, quello più alto di tutti, sette piani sopra terra, è il nuovo convitto.

Ci vorrebbe una settimana per vedere tutto, e perciò dovremo contentarci di una serie di scorci rapidi e densi. Dietro una vetrata a pianterreno sta come esposta in bella mostra un’aula scolastica: i banchi sono disposti ad anfiteatro; in fondo, accanto al tavolo dell’insegnante, c’è un pianoforte a coda. Perché, ci dicono, qui si studia anche musica e canto. Desiniamo alla mensa delle scuole con un giovane che è stato nove anni qua dentro, e ci ha lasciato il cuore, ci sembra. Sono ragazzi tranquilli, ordinati, parlano fra di loro, discutono con l’assistente (più che sorvegliarli par che tenga loro compagnia), scherzano.

E si riprende il giro. Il padiglione dei lavori pesanti pare una fabbrica moderna, con le trance, le frese, i mandrini, l’odore aspro del metallo lavorato. E l’odore del piombo alla scuola del libro, con le sue tre grandi linotypes, le macchine zincografiche per le riproduzioni a colori. Non c’è nessuno e possiamo dare un’occhiata clandestina ai “compiti in classe”: c’è una Madonna del Botticelli che ci porteremmo via volentieri. Un assistente insiste sui criteri di insegnamento: educare la mano, l’occhio, non stancare l’immaginazione dell’alunno. “Questa è una scuola pilota”, ci dice. Un altro avrebbe detto “scuola modello”, ma è più giusto nell’altro modo, dà il senso del movimento in avanti, del progresso.

Scuole abbiamo visto soprattutto: aule, laboratori, maestri e ragazzi. Una popolazione di circa tremila giovani che per almeno sei-sette ore al giorno dà vita a questa cittadella milanese. L’Umanitaria infatti sostiene e regola una grande scuola di orientamento professionale, con le sue varie diramazioni. Per i giovani lavoratori esiste inoltre una vasta gamma di corsi serali, dai verniciatori ai lattonieri, dai vetrinisti ai fabbri, dai meccanici agli aggiustatori. Un settore intero di corsi serali va sotto il nome di Scuola del libro, e vi si insegnano tutte le discipline connesse con l’attività tipografica ed editoriale. Il presidente dell’Umanitaria ha un sorriso compiaciuto; è un signore di mezza età, robusto, coi baffi e lo sguardo chiaro. Si chiama Riccardo Bauer, e ascoltandolo non fai a meno di pensare che il suo nome significa “costruttore”. È qui dal 1945: quando prese in mano l’Umanitaria erano solo rovine, debiti, quattrini da cercare chissà dove. Adesso ecco qua. Ma non di questo il presidente vuol discutere; semmai di quel che bisogna ancora fare. Il Teatro del Popolo, per esempio, poi altri corsi, altre scuole, un lavoro che continua, e senza retorica di tipo alcuno”.