Il mago dei bambini e i suoi Lab-Lib

Da quando abbiamo inaugurato questa rubrica (che il “Corriere della Sera” ha definito pillole di memoria), in più d’una occasione ci siamo soffermati a ricordare alcune figure di bambini e adolescenti che attraverso le molteplici opere di didattica e di assistenza dell’Umanitaria hanno potuto cambiare il corso della loro esistenza (ne ricorderemo tanti altri nelle prossime settimane, perché la fila dei ricordi è ancora lunga).

In questa puntata parliamo di un bambino speciale, che era però un uomo, un uomo che ha dedicato gran parte della sua vita ai bambini, non come pedagogista o educatore, ma come artista e indagatore appassionato della creatività dei più piccoli, e come loro ha mantenuto fino alla fine una joie de vivre incontenibile, una spontaneità e una curiosità genuine, che lo hanno fatto conoscere in tutto il mondo (dagli Stati Uniti al Giappone) come il “mago dei bambini”.

Parliamo di Bruno Munari, il grande artista e designer, a cui la Società Umanitaria dedicò nel 1994 l’ultima collettiva milanese quando era ancora in vita (il catalogo, ormai introvabile, venne stampato da Marzia e Maurizio Corraini); in quella occasione Munari, insieme alla sua assistente Beba Restelli, decise di organizzare una serie di laboratori per bambini (la mattina per le scuole, nel weekend per le famiglie), immaginando uno di quei suoi incredibili percorsi di crescita sensoriale, dove si poteva scoprire e manipolare materiali tra loro diversi, per colore, per forma, per struttura, per costruire “qualcosa che non si sa che cosa è”. Un compito che a noi adulti sembra un salto nel vuoto, ma per qualunque bambino è una passeggiata…

Quell’esperienza invernale evidentemente non gli era bastata, perché l’estate successiva Munari volle bissare, inventandosi un’altra serie di laboratori plurisensoriali per l’infanzia: i famosi LAB-LIB, i Laboratori Liberatori, dove i bambini dei centri estivi potevano entrare in contatto con un mondo fatto di carta e cartoncini, di colori, forbici e adesivi, perfino con la fotocopiatrice, mentre le loro educatrici potevano fare esperienza sul campo, seguendo quei procedimenti educativi unici, nel senso che nessuna attività era identica all’altra, perché ogni volta interveniva un imprevisto, un cambio di tono, un colore impazzito.

Chissà se qualche bambino o qualche bambina di allora, oggi, si ricorda di quel piccolo grande uomo che si aggirava curioso tra i nostri chiostri, sedendosi tra i partecipanti, soffiando tra le carte, dando piccoli consigli sul colore da usare, ma soprattutto osservando il lavoro di quei piccoli inventori, lasciati nella totale libertà della loro espressione artistica. Proprio come era solito fare lui quando si metteva a progettare, lui che concepiva la vita come lavoro e il lavoro come gioco, ed il gioco come la vera base di ogni attività creativa, anche la più seria, ma senza mai dimenticare l’ironia, quella del genio che amava creare “Libri illeggibili” o “Macchine inutili”.

Pensavamo che fosse eterno, ma tre anni dopo (1998) Munari ci lasciava per sempre. A noi piace ricordare come lo descrisse un altro osservatore, il grande critico Gillo Dorfles, in un numero della nostra rivista:

“Nel panorama artistico di questo secolo Munari è uno dei pochi esempi d’un equilibrio interiore tra sentimento e pensiero, tra istinto e ragione, che si traduce in un’opera equilibrata, ma sempre aperta al nuovo e all’imprevisto”.