Parole pronunciate dal prof. Arturo Colombo, Consigliere della Società Umanitaria come estremo saluto al Presidente Massimo della Campa – Venerdì, 24 giugno 2005
Cara Signora Anna, cara Paola, Autorità, Signore e Signori,
siamo qui riuniti per dare l’ultimo saluto a Massimo della Campa, che per noi rimarrà sempre – non solo nell’odierna commozione del ricordo – il nostro presidente, perché così l’abbiamo seguito lungo un ventennio, ogni volta solidali con quanto lui andava progettando, o predisponendo, o realizzando, affinché l’Umanitaria sapesse continuare a crescere e a lasciare un segno – come avviene ormai da più di un secolo.
Certo, Massimo della Campa è stato anche altro. E se ripercorriamo, pur brevemente, le tappe salienti della sua biografia, ci accorgiamo di quanto vasta sia stata la simbolica tastiera dei suoi interessi, a cominciare dal mondo del diritto, dove si è affermato con la sua attività di avvocato: non un avvocato “generico” ma un tecnico del diritto, capace – come le esigenze del mondo contemporaneo impongono – di dare il suo contributo a livello di conoscenza e competenza delle molteplici normative comparate, come dimostra, per esempio, il ruolo svolto dell’Union Internationale des Avocats.
E sappiamo altresì che un posto, non meno rilevante, ha avuto anche nella massoneria, ricoprendo importanti cariche e incarichi, tanto di diventare Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia, oltre a aver scritto pagine di rilievo sulla storia di questa istituzione, come sa bene chi conosce la sua ultima opera, “Luce sul Grande oriente”.
Probabilmente dal nonno paterno, Raffaele della Campa, che è stato un significativo scultore della Napoli – della “sua” amatissima Napoli –, Massimo della Campa ha ereditato quel gusto, quell’inclinazione, quella naturale predisposizione a non chiudersi mai nel piccolo orto dei propri interessi, ma a guardare il mondo “in grande”, nella vastità dei suoi aspetti, delle sue caratteristiche, dei suoi molteplici elementi.
Infatti, è proprio in questa prospettiva che ci capisce il richiamo, anzi il fascino che l’Umanitaria deve aver suscitato in lui, appena – già nei primissimi anni ‘80 – è entrato a far parte del consiglio direttivo di questo sodalizio, dove fin dalle origini chi vi è stato coinvolto, ha subito intuito e capito quanto l’impegno civile e lo spirito di socialità costituiscano la materia viva, il lievito fecondo di ogni scelta, di ogni iniziativa.
Questi due principi ispiratori Massimo della Campa li ha intesi immediatamente come decisivi punti fermi, quando, nel 1986, i colleghi del consiglio hanno voluto affidargli il bastone del comando, che significa la guida, la presidenza di questa Umanitaria, che nel corso di oltre un secolo di vita di personalità autorevoli è sempre riuscita a metterne ai propri vertici: basterebbe pensare a Riccardo Bauer, che sessant’anni fa, all’indomani del dramma del fascismo e della guerra, è stato il “ricostruttore”, il “rifondatore” dell’Umanitaria.
Durante l’intero ventennio di costante, ininterrotta presidenza, Massimo della Campa ha mostrato la capacità – rara, e quindi tanto più meritoria – di capire che occorreva mantenersi ben saldi nella fedeltà alle origini di questo nostro sodalizio, ma insieme saperne rinnovare, e ampliare, e arricchire certe attività, tenendo conto dello sviluppo dei tempi e dei processi di trasformazione che hanno coinvolto un po’ tutta la società italiana, Certo, non è questo il momento per soffermarci a fare la storia dell’Umanitaria degli ultimi decenni, quando – anche in conseguenza di decisioni, spesso improvvide, che certi pubblici poteri ci hanno imposto – l’Umanitaria è stata forzatamente costretta a dover rinunciare a proseguire attività, per esempio nel campo dell’istruzione professionale, che le sono state specifiche per tanto tempo.
Ebbene, di fronte alle nuove, decisive scelte di campo, noi abbiamo imparato a giudicare sempre meglio le doti, le capacità, di Massimo della Campa: un uomo che – anche nei momenti di maggiore difficoltà – non ha mai gettato la spugna; anzi, ha sempre voluto tenere fermo il timone della barca, convinto che uno dei segreti dell’Umanitaria fosse quelli di sapersi “aprire” alle novità, e mai rinchiudersi in nostalgici, anacronistici richiami a un passato, ormai finito per sempre.
Chi, come noi tutti suoi collaboratori, lo hanno sostenuto in questi anni, possono testimoniare, per esempio, specialmente su due delle più significative scelte, che Massimo ha avuto la capacità e il merito di far fare all’Umanitaria, magari anche a costo di discuterne e polemizzare a fondo con noi stessi. Perché – riconosciamolo senza timori né tremori – Massimo della Campa aveva anche una sua prepotenza, tipica degli uomini di carattere, che possono in certi momenti apparire dei “caratterini”, ma poi, alla distanza, rivelano le loro autentiche capacità di aver saputo vedere giusto: prima e meglio degli altri.
Pensate, per esempio, alla decisione – apparentemente improvvisa, quasi temeraria – di dare vita all’Humaniter, che rimane la sua “creatura” prediletta. Se oggi noi possiamo sentirci orgogliosi di quanto si sta realizzando tanto qui, nella sede milanese, quanto a Napoli – la sua città natale, ma soprattutto la sua città del cuore –, lo dobbiamo soprattutto a quello che il grande Leonardo chiamava “hostinato rigore”, di cui Massimo della Campa ha saputo disporre fin dal primo istante.
Non solo: ricordiamoci l’altro suo convincimento che il nostro mondo contemporaneo ha fatto sì straordinari progressi, coinvolgendo masse un tempo costrette ai margini dello sviluppo, ma ha lasciato anche emergere quelle che Massimo della Campa ci ha insegnato a chiamare le “nuove povertà”, di cui noi tutti dobbiamo saperci fare carico, se vogliamo che l’imperativo categorico dell’Umanitaria – il principio della solidarietà – non resti una semplice parola astratta ma debba costituire la nostra stella polare.
Del resto, i tanti nomi di personalità illustri che negli ultimi anni sono venute all’Umanitaria, che cos’altro hanno rappresentato, se non un segno di decisa e fattiva “compartecipazione”, e quindi di genuina solidarietà, con quanto della Campa voleva che l’Umanitaria sapesse fare, anche nei vari campi dell’impegno culturale e sociale?
Un Nobel per la pace come Rigoberta Menchù; grandi firme del giornalismo, da Cavallari a Afeltra, da Mieli a Sergio Romano, da De Bortoli a Dario Fertilio; sindacalisti come Panzeri; critici come Rossana Bossaglia o Guido Bezzola; protagonisti dello spettacolo, da Calindri a Franca Valeri, da Dario Fo a Ottavia Piccolo. E ancora: sindaci come Aniasi o Tognoli o Albertini (che ieri ha avuto parole così toccanti); studiosi e maestri, da Bobbio a Galante Garrone, da Giorgio Galli a Salvatore Veca, da Della Peruta a Galasso, da Decleva a Rumi), economisti come Talamona, Francesco Forte o Michele Salvati; Maigistrati e giuristi, da Francesco Saverio Borrelli a Giorgio Sacerdoti; massime autorità dello Stato, come Giovanni Spadolini, costituiscono solo alcuni fra i molti protagonisti che Massimo Della Campa ha saputo via via coinvolgere, affinché contribuissero a fare grande l’Umanitaria, intervenendo più volte in questo stesso storico salone, dove noi ci troviamo riuniti ora.
L’ora del distacco è sempre terribilmente amara, anche se è vero – come ci ha raccontato il grande Orazio – che “Siamo tutti sospinti verso una stessa meta”. Forse, però, molto più esatto – in questo momento di commozione e di rimpianto per l’addio che stiamo dando a Massimo della Campa – ci pare la lezione da trarre dai robusti versi del Foscolo, che ben si attagliano al nostro Presidente: “Ai generosi / giusta di glorie dispensiera è morte”.