Quelle immagini sulla violenza domestica

Trent’anni fa l’Umanitaria ospitò una mostra che portò l'attenzione su una realtà allora quasi taciuta, aprendo uno spazio per osservare e prendere coscienza di una violenza troppo a lungo ignorata
È una delle forme più aberranti di prevaricazione, la violenza fatta da chi si proclama compagno di una vita, e spesso si trasforma nell’incubo peggiore: schiaffi, urla, pugni, spintoni, violenze sistematiche, abusi, omicidi. L’elenco della violenza che può instaurarsi tra uomo e donna, dentro e fuori le mura domestiche, è lungo, ignobile, devastante. Soprattutto quando ci sono di mezzo i figli, i figli che tremano al solo aumento di tono della voce, a quella mano che si alza, a quel volto sorridente che diventa paonazzo e poi esplode in una furia cieca, inarrestabile.
Oggi la violenza alle donne non è più marginale, è un fenomeno studiato, controllato, monitorato; c’è il numero verde 1522 (attivo 24 h su 24), se ne parla a scuola, se ne discute in famiglia, in TV, sui social, in una battaglia (perché la violenza è una guerra) comune e costante per abbattere quelle “cattive abitudini” che fino a pochi anni fa permettevano prevaricazioni inaccettabili ed oggi, con l’escalation dei casi, hanno portato a coniare un nuovo sostantivo: femminicidio.
Prima che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituisse la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (17 dicembre 1999) in certi Stati, in certi paesi, in certi appartamenti, non era facile essere donna, perché questa forma subdola di violenza era quasi assente dai quotidiani, come se non esistesse, come se il reato non fosse contemplato. Poi una fotografa eccezionale cominciò ad occuparsi della questione; per lunghi mesi Donna Ferrato (“omen nomen”) seguì gli interventi della polizia chiamata dalle vittime o dai vicini, guardò negli occhi i carnefici, seguì le donne picchiate nelle case-rifugio vivendo accanto a loro, parlando con loro, sentendo le loro storie e diventandone amica.

Da quel lavoro, grazie alla costanza di quella Donna, la violenza alle donne divenne un fatto di cronaca quotidiana, riportato sui tabloid di tutta l’America. Ne nacque un libro Living with the enemy, un progetto per l’accoglienza e l’assistenza alle donne maltrattate (oggi “National Resource Center on Domestic Violence”) e poi una mostra itinerante, struggente e delicata al tempo stesso. Quella mostra ebbe un’unica tappa in Italia, a Milano, dove 50 fotografie di Donna Ferrato – dal 30 marzo al 27 aprile 1995 – trasformarono il Chiostro dei Glicini in una esposizione incredibile (merito dell’allestimento suggestivo ideato dall’Architetto Giampiero Bosoni): una mostra voluta da un’altra donna straordinaria, Grazia Neri, che scelse l’Umanitaria come spazio ideale per puntare i riflettori su un fenomeno che continuava ad essere taciuto, nascosto, sommerso.
La foto per l’invito venne scelta per il contrasto temporale: il volto di una donna sorridente, e la stessa donna con occhi tumefatti, le labbra spaccate e lo sguardo sofferente, dopo la relazione che le aveva distrutto la vita. Ma in mostra c’erano anche foto di tenerezza estrema, come la donna addormentata a fianco del figlio, con il viso finalmente disteso, nella prima notte di vera quiete, perché non si trovava più nella casa del mostro. Quel reportage seppe mostrare a tutti la cruda verità: c’era la denuncia di crimini ignobili, ma c’era anche la speranza di un cambiamento, nonostante i problemi da affrontare – oggi come allora – fossero ancora enormi, perché non sempre è facile rompere il muro del silenzio e ribellarsi ai soprusi, a quell’amore distorto dalle botte, dalle ossa rotte, dai lividi che non si cancellano ( il sito di Donna Ferrato è: www.donnaferrato.com )
Il senso di quella mostra continua ad essere vivo nelle tante iniziative che la Società Umanitaria promuove ancora oggi per mantenere alta l’attenzione su un tema che interpella la coscienza di tutti. Mostre, incontri, spettacoli, proiezioni e convegni, insieme a gesti simbolici e azioni concrete, animano in modo costante tutte le città dove l’Umanitaria è presente, coinvolgendo studenti, docenti, iscritti ai corsi, soci e cittadini. Attività spesso sviluppate in sinergia con associazioni impegnate nella prevenzione e nel contrasto alla violenza di genere, per rafforzare il dialogo e la consapevolezza collettiva. Iniziative diverse per forma, ma unite dallo stesso spirito: dal progetto partecipato che ha legato tutte le sedi dell’Umanitaria in un grande Lenzuolo SOSpeso, dove ciascuno ha potuto cucire con un filo rosso il nome di una donna vittima di violenza, alla panchina rossa dipinta dai nostri studenti dell’Università di Mediazione Linguistica “Prospero Moisè Loria”, oggi installata all’ingresso di via San Barnaba come monito e impegno a non smettere mai di parlare, di denunciare, di agire. Segni diversi di una stessa volontà: per tener viva l’attenzione e mettere la parola fine a un crimine contro l’umanità. Mai più.
Ph. courtesy Donna Ferrato










