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Nato come adattamento cinematografico del romanzo per ragazzi The wonderful wizard of Oz - Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum, The wizard of Oz - Il Mago di Oz non è solo un film: è una fabbrica di icone. Dalle scarpette rosse rubino di Dorothy al sentiero di mattoni gialli, dalla Città di Smeraldo fino alla canzone Over the Rainbow, la cultura pop ha attinto al film per decenni.
Rendere il film un classico senza tempo era proprio nei piani della Metro-Goldwyn-Mayer, che lo produsse nel 1939 con l’unico scopo di aumentare il proprio prestigio, senza badare a spese: ci vorranno vent’anni prima di riavere indietro i due milioni e settecentomila dollari spesi. Poco male per chi produceva all’epoca una media di quaranta film all’anno, ignorando i diritti dei lavoratori e le regole della sicurezza sul set (molte delle quali ancora non esistevano): ci si poteva permettere il lusso di una favola. E se è vero che The wizard of Oz è il frutto di un mirabolante sforzo d’ingegno, è vero anche che le centinaia di professionisti coinvolti rischiarono molto durante le ventidue lunghe, lunghissime settimane di riprese.
I problemi cominciano subito: una decina di sceneggiatori si avvicendano a staffetta all’adattamento del romanzo, spesso modificando in modo sostanziale il lavoro di chi è venuto prima. Dopo solo due settimane di lavorazione, il produttore Mervin LeRoy non è convinto del lavoro del regista Richard Thorpe e decide di sostituirlo con George Cukor. Nel ’39 il cinema non è ancora il regno dei registi: vengono assegnati ai film che sceglie la produzione, spesso con contratti per cui non possono opporsi, e possono venire sostituiti in qualsiasi momento, senza preavviso. Neanche per Cukor le cose vanno bene perché rimane sul set solo tre giorni, giusto il tempo di rendere inutilizzabili molte delle scene già girate. A questo punto il film viene affidato a Victor Fleming, che lo dirigerà per quattro mesi, quasi fino alla fine, ma il prologo e il finale saranno affidati a King Vidor.
Anche gli attori spariscono spesso e ne appaiono di nuovi, ma nessuno fa domande. L’attore scelto per interpretare l’uomo di latta, Ray Bolger, ballerino sopraffino, non vuole recitare in un ruolo che gli impedirebbe i movimenti, e chiede di scambiare la parte con Buddy Ebsen, lo spaventapasseri. Insiste tanto che alla fine convince i produttori. Anche Ebsen accetta di buon grado ma, dopo quattro estenuanti settimane di prove costume, alla prima prova trucco il suo viso viene ricoperto da una polvere di alluminio bianco che lo porta a una crisi respiratoria dovuta a una grave reazione allergica. La MGM lo licenzia in tronco. E avanti un altro. Il nuovo uomo di latta è Jack Hale, altro membro della scuderia MGM: per non rischiare, il trucco a base di polvere di alluminio viene sostituito con la pasta di alluminio. Nessun problema respiratorio per Hale, ma in compenso riporta una grave infezione agli occhi che ritarda ulteriormente le riprese, provocando le ire di Mayer. Tornato sul set, Hale si accorge che con il suo costume è impossibile stare seduto o sdraiato, quindi tra una scena e l’altra è costretto a riposarsi su una panca inclinata. Nei giorni buoni riesce pure a dormirci sopra.
Per gli attori non è vita facile: Judy Garland è troppo grande per interpretare il ruolo di una bambina e viene sottoposta a qualsiasi tipo di angheria per farla sembrare più piccola: dai corsetti alle protesi, fino alla dieta a base di caffè, brodo di pollo e diversi tipi di droghe. Neanche per Bolger, che tanto ha voluto il ruolo dello spaventapasseri, è una passeggiata: la maschera utilizzata per lui è una sorta di sacchetto di gomma stropicciato incollato alla sua faccia che gli lascia liberi solo gli occhi, il naso e la bocca. Alla fine delle riprese scoprirà che parte del motivo della maschera si sarà impresso come un tatuaggio sul suo mento e agli angoli della bocca, lasciandogli addosso un pezzo dello spaventapasseri per sempre.
Foto di pubblico dominio
Per il ruolo del leone codardo viene scelto Bert Lahr, un attore giudicato troppo "grottesco" per l’epoca dei divi, ma perfetto per dare al leone quella vis comica che costerà a Judy Garland uno schiaffo da parte di Fleming, quando all’ingresso in scena di Lahr, non riuscirà a trattenere le risate. Quello che sicuramente non è divertente è il suo costume: una volta applicate le protesi sul viso che simulano il muso del leone, non può più masticare cibi solidi. Presto impara che se non riesce a resistere e mangia, la protesi si rompe e lui deve passare ore a farsela riapplicare. Anche il suo costume è una vera prova di resistenza: 60 kg di pelle di (vero) leone, imbottita di gommapiuma, che rende faticosi anche i minimi movimenti. In più - dettaglio non trascurabile per un set che raggiunge temperature incendiarie - non c’è modo di lavarlo o di averne uno uguale per alternarlo nelle riprese. Dopo qualche giorno la MGM è costretta ad acquistare un macchinario in grado di asciugare il sudore dal costume ogni sera, e nei momenti di pausa Lahr deve rifugiarsi nel suo camerino perché nessuno riesce a stargli accanto.
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D’altronde nello studio l’aria è irrespirabile e i ritmi massacranti: non ci sono impianti di aereazione e il caldo è talmente soffocante che c’è chi sviene di continuo. Le maestranze rimangono sul set anche per settimane filate senza tornare a casa, sottoponendosi a rischi di ogni tipo: molti dei materiali usati sono velenosi, o pericolosi, o radioattivi. Fumi tossici si spargono nell’aria; i trucchi usati sono a base di piombo, alluminio, rame; il mercurio liquido refrigerato è utilizzato per i vetri destinati a infrangersi e l’intero set è disseminato di amianto. Anche la neve candida che cade nella famosa scena del campo di papaveri è fatta di piccoli e leggerissimi fiocchi di amianto. Vederla oggi mette i brividi.
Poppies
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Gli incidenti si susseguono: due acrobati cadono dai cavi sospesi, uno dei nani accoltella al piede un poliziotto, e persino il cane scelto per interpretare Toto viene calpestato da una comparsa e si sloga una caviglia. Però è con Margaret Hamilton che si sfiora davvero la tragedia. Anche il suo costume, come quello dei colleghi, è una trappola: imbottito di paglia, non può toglierlo senza spargerla ovunque. Le protesi sul suo viso le permettono di ingerire solo liquidi, il cappello è pesantissimo, viene dipinta con una vernice verde al rame che, oltre ad essere tossica, non si asciuga mai. È costretta a chiedere aiuto persino per il bagno, ma il peggio deve ancora arrivare. È il giorno della scena in cui la malvagia strega dell’Ovest lascia la terra dei Mastichini, avvolta in una vampata di fuoco. Nel punto preciso in cui compirà la sua magia, si aprirà lo sportello di una botola per farla cadere dentro, lontana dalle fiamme. Il primo ciak riesce ma Fleming ne ordina un secondo per “sicurezza”: il meccanismo questa volta non funziona e Hamilton si ritrova con ustioni sul viso, fortunatamente leggere e, ben più gravi, sulle mani. Prima di poter andare in ospedale, bisogna rimuoverle il trucco verde che ora è a contatto con le ferite: le truccatrici le sfregano il viso con batuffoli di cotone imbevuti di alcol puro. Il dolore è atroce. La scena resta nel film.
Wicked witch actress seriously burned filming
Nonostante il ricovero necessario a curare le sue ferite, l’attrice rinuncia a far causa alla MGM, ma si rifiuta da quel momento in poi di girare altre scene che prevedano l’uso del fuoco. Quando Fleming vuole girare la scena in cui la strega fa un giro nel cielo con la sua scopa fumante, sarà la sua controfigura Betty Danko a girarla al posto di una Hamilton furiosa, nonostante l’opposizione di entrambe. Va malissimo: al terzo tentativo il tubo per il fumo inserito nella scopa esplode, Danko rimane ustionata a una gamba dopo una caduta da un’altezza considerevole. Per lei è già il secondo incidente sul set, la scena della scopa fumante alla fine sarà girata da una terza attrice.
Insieme a tanti incidenti veri, ci sono anche molte leggende metropolitane che circondano The wizard of Oz. La più assurda riguarda il presunto suicidio di uno degli attori che interpretavano i Mastichini, che in una scena del film sembrerebbe impiccarsi a un albero. La teoria è stata smentita definitivamente quando è diventato possibile ingrandire il film fotogramma per fotogramma, ma c’è chi ancora sostiene che il restauro abbia ‘ritoccato’ l’immagine incriminata. Leggende a parte, dei “nani” di The wizard of Oz si è detto di tutto, soprattutto della loro propensione all’alcol, alle feste sfrenate, alla promiscuità sessuale: la verità è che molte delle piccole persone ingaggiate nel film hanno alle spalle una lunga storia di abusi e privazioni, e i loro atteggiamenti vengono spesso fraintesi. I nani di colore e quelli affetti da acondroplasia vengono “scartati”, quelli che arrivano sul set sono sottopagati, sfruttati e pesantemente discriminati, ma la partecipazione a quel grande film di Hollywood apre a molti di loro la prospettiva di una carriera sicura nel cinema e in tv. Le riprese, però, sono massacranti, e i loro costumi talmente pesanti che è impossibile muoversi liberamente, o toglierseli. Dopo che uno dei nani cade nella tazza del wc, rimanendoci per quarantacinque lunghissimi minuti, la MGM decide di adibire una squadra di assistenti al solo compito di aiutare tutti i membri del cast ad andare in bagno.
È solo l’ennesimo capitolo di una storia costellata di umiliazioni, incidenti ed eventi disastrosi che in modi diversi hanno colpito chiunque abbia lavorato a questo film. Un prezzo davvero altissimo per l’immortalità.