Quella gelida mano dietro la nuca

* vi consigliamo di abbinare la lettura all’ascolto della playlist

«L’esorcista sembra davvero essere nato da un angolo misterioso della nostra coscienza, da dove continua a rispuntare inquieto, fatto della stessa sostanza con la quale sono costruiti i nostri incubi».
Nico Parente, con la collaborazione di Gordiano Lupi, Roberto Giacomelli, L’esorcista quarant’anni dopo, Edizioni Il Foglio, Piombino 2014

Locandina The ExorcistQuando The Exorcist – L’Esorcista, il film destinato a diventare un cult assoluto e una pietra miliare del genere horror, arriva nelle sale americane, il 26 dicembre 1973, è già stato preceduto da minacce di censura, da orde di polemiche e, soprattutto, da una campagna promozionale mirata a cavalcare l’onda del sensazionalismo. Principale manovratore dell’operazione è lo stesso regista, William Friedkin che, come in un film nel film, monta ad arte una narrazione “maledetta” della genesi di The Exorcist, rilasciando continue interviste in cui accenna a molti incidenti ed eventi “particolari” accaduti sul set. Sostiene di aver utilizzato campi magnetici e vera e propria “magia” per le scene più spettacolari, gioca con l’idea del soprannaturale, facendo leva sulla curiosità morbosa del pubblico. Addirittura, diffonde la notizia (vera) di aver chiesto a un sacerdote di praticare un esorcismo prima delle riprese, dopo che il set era andato a fuoco, lasciando illesa (pare) solo la stanza di Regan. Nella realtà, il prete si era limitato a una semplice benedizione.

Inizialmente Friedkin, che neanche aveva letto il libro di William Peter Blatty, non era convinto di voler fare il film, diffidente del talento dell’autore di scrivere quella che a tutti gli effetti avrebbe dovuto essere una detective story. E d’altro canto la Warner Bros, che era pronta a investire una montagna di soldi nel progetto, avrebbe preferito al timone nomi più blasonati. Blatty insiste per averlo e anche la Warner si convince quando Friedkin diventa il più giovane regista a vincere un Oscar, con il film The French Connection - Il braccio violento della legge (1971). Lui, invece, accetta di dirigere il film solo dopo aver letto il libro di Blatty: il taglio quasi documentarista della storia lo sconvolge. D’altronde Blatty si era ispirato a un fatto vero, accaduto nel ’49, di un quattordicenne del Maryland che aveva manifestato sintomi identificati come possessione demoniaca, e aveva subito un esorcismo; padre William S. Bowdern, uno dei sacerdoti che avevano praticato il rituale, aveva accettato di offrire la sua consulenza per il libro, a condizione di preservare l’identità del ragazzo.

William Friedkin
Foto concessa con licenza 2.5 Generic

William Friedkin

La protagonista, diventa Regan, una ragazzina dodicenne figlia di una star del cinema e di un padre assente. Per Friedkin, che nel frattempo si è appassionato al progetto, è un grosso problema: provina centinaia di ragazzine dai 12 ai 16 anni ma non ne trova una con il talento necessario e in grado di reggere psicologicamente la parte. Linda Blair arriva ai casting accompagnata dalla madre: Friedkin resta colpito dalla sua maturità e dal suo equilibrio, ma anche dalla sua vivacità e dalla sua intelligenza. La parte è sua. Il resto del cast arriva nello stesso modo fortuito, a parte Max Von Sydow, che Friedkin aveva assolutamente voluto nel ruolo di padre Merrin. Ellen Burstyn si era presentata spontaneamente per il ruolo della madre di Regan, Chris MacNeil. La scelta si rivela vincente: Burstyn è bravissima e l’alchimia con Linda Blair perfetta. Per il ruolo di padre Karras la Warner aveva i suoi piani, ma Friedkin li scombina scegliendo Jason Miller, drammaturgo e attore teatrale. Dopo un provino deludente (Miller pensava di dover collaborare alla sceneggiatura, ma non aveva neanche letto il libro), Miller legge il libro in una notte e richiama Friedkin: la biografia del personaggio coincide in modo impressionante con la sua, deve avere quel ruolo. Dopo un nuovo provino, che stavolta sbalordisce il regista, lo avrà.

Arriva così il 14 agosto 1972: al Goldfather Memorial Hospital di New York viene battuto il primo ciak di The Exorcist. Un demone esiste davvero su quel set, ma non si tratta di Pazuzu, la forza demoniaca protagonista della pellicola, quanto dello stesso Friedkin. La sua visione è imponente e l’attenzione ai dettagli ossessiva; lo sforzo che richiederà ai collaboratori sarà, quello sì, sovrumano. La parola d’ordine è realismo: la storia deve sembrare uscita da una realtà quotidiana e familiare, l’orrore deve trovare spazio nella logica e insinuare il dubbio nella ragione. Ma, soprattutto, deve tenere lo spettatore in uno stato di tensione e terrore continui, dare la sensazione di una mano gelida dietro la nuca. Il mondo post ’68 è una polveriera pronta a esplodere, ed è il momento migliore per portare sullo schermo una battaglia epica tra il Bene e il Male, che trascende l’essere umano, il libero arbitrio, la fede, la scienza.

Per realizzare ciò che ha in mente, Friedkin si rivolge a due grandi degli effetti speciali, Marcel Vercoutere e Dick Smith, e all’eccezionale direttore della fotografia Owen Roizman. I problemi con loro sono all’ordine del giorno e il primo nasce con il trucco di Regan: nonostante cinque mesi di tentativi, non si riesce a nascondere il volto angelico e infantile di Linda Blair dietro i tratti della possessione. Si decide allora di darle un aspetto più malato che demoniaco; il resto sarà lasciato al lavoro certosino di Roizman. Anche lui litiga spesso con Friedkin, tanto che avrà diversi cedimenti nervosi, ma realizzerà un capolavoro della fotografia. Anche per gli effetti speciali ognuno dei tecnici darà un apporto fondamentale, con soluzioni innovative e spettacolari ancora oggi, nonostante l’assenza di computer grafica. Vengono costruiti ben tre letti per la stanza di Regan, e ognuno può fare cose diverse; imbragature e protesi permettono i movimenti più violenti della ragazzina, ma prima vengono provate su Eileen Dietz, la controfigura di Linda. La scena iconica della spiderwalk, che compare soltanto nella versione integrale del film, è affidata invece a una stuntwoman professionista, Ann Miles.

The Exorcist di William Friedkin [1973]
Spiderwalk Scene

Linda Blair and Ellen Burstyn in The ExorcistBene e male, luce e ombra, silenzio assoluto e rumori fragorosi: The Exorcist è un film di contrasti che devono essere netti e disturbanti; ogni espressione facciale, ogni gesto, ogni reazione degli attori deve essere credibile. E, dunque, che realtà sia: la presenza del demonio è caratterizzata dal freddo, e Friedkin insiste per rendere visibile il respiro degli attori. La stanza di Regan viene refrigerata ogni poche ore da quattro condizionatori giganti, raggiungendo temperature di molto sotto lo zero. Linda Blair ha addosso solo una leggera camicia da notte: quando trema, trema davvero. Il primo incidente accade con Ellen Burstyn: nella scena in cui Regan dà un violento schiaffo a sua madre, facendola volare dall’altra parte della stanza, i tecnici e l’attrice si sono accordati per garantirle la sicurezza con lacci e imbragature ma, appena prima di girare, Burstyn intravede Friedkin e Vercoutere scambiarsi uno sguardo d’intesa: nel momento cruciale, viene tirata con una forza estrema che la fa sbattere violentemente a terra, con un grido di vero dolore. Friedkin non smette di girare e ordina di stringere l’inquadratura su di lei. L’attrice è furiosa, non aspetta lo stop e interrompe la scena, che rimarrà nel film.

Linda Blair and Ellen Burstyn in The Exorcist
Foto di pubblico dominio

Ellen Burnstein sarà nel tempo la più tenace sostenitrice della maledizione del film: durante i 224 giorni di riprese, infatti, moriranno ben 9 persone legate in qualche modo al progetto. Nonostante suo fratello fosse una delle vittime, secondo Max Von Sidow, con quel tempo di riprese così lungo sarebbe potuto accadere di tutto. A chiunque. Von Sidow è un ateo convinto e, sul set di The Exorcist, non riesce a pronunciare le parole del rituale con la giusta motivazione. Friedkin lo minaccia addirittura di chiamare a dirigerlo Bergman in persona, con cui aveva fatto diversi film. Niente, la crisi è profonda, la lavorazione slitta di settimane. In preda a una possessione neorealista alla Vittorio De Sica, Friedkin arriva a usare metodi poco ortodossi persino con padre William O'Malley, che non è un attore ma un vero prete. Nella sua scena finale non riesce proprio a trovare la giusta emozione. Proprio un istante prima di gridare Azione!», sussurrandogli dolcemente «Ti fidi di me?», Friedkin lo colpisce con un violento schiaffo in faccia.

Nelle scene in cui deve ottenere una reazione di autentico spavento, Friedkin tira fuori una pistola a salve e spara all’improvviso vicino alle orecchie degli attori. I suoi “mezzucci” mandano Miller su tutte le furie, si sente sminuito nelle sue capacità di attore, e anche un po’ preso in giro. Ma non è finita. Nella scena dell’ondata di vomito verde che Regan scarica su padre Karras (la più parodiata di sempre!), il getto dovrebbe colpire Miller all’altezza del busto, ma qualcosa non funziona nel meccanismo studiato per il vomito, che invece colpisce Miller in piena faccia. La scena viene girata di nuovo ma, in fase di montaggio, Friedkin non resiste alla tentazione di scegliere il primo ciak: la reazione realistica di rabbia e disgusto di Miller è impagabile.

The Exorcist di William Friedkin [1973]
Projectile Vomit Scene

Questa ossessione per il realismo è all’origine anche di uno dei fatti più inquietanti legati al film: Friedkin filma la scena terrificante dell’angiografia in un laboratorio di Medicina, con vero personale medico: l’infermiere che assiste Linda Blair è il tecnico radiologo Paul Bateson che, pochi anni dopo, sarà arrestato per un cruento omicidio e sospettato per altri sei casi simili. Friedkin andrà a trovarlo in carcere per chiedergli una consulenza poco prima di girare Cruising: la straordinaria coincidenza della trama con la vicenda di Bateson, lo porteranno ancora una volta a rincorrere la sensazione di realtà a tutti i costi.

The Exorcist di William Friedkin [1973]
Carotid Angiography Scene

I guai non finiscono con il termine delle riprese: il compositore a cui Friedkin ha affidato le musiche, Lalo Schifrin, non lo convince più, così lo licenzia e, del tutto casualmente, da una pila di dischi tira fuori Tubular Bells di Mike Oldfield. Il brano diventerà uno dei segni inconfondibili del film. Inoltre, durante il montaggio, che avviene - sul serio! - al civico 666 della Fifth Avenue a New York, Friedkin non sa come risolvere la questione della voce del demone, finché non si ricorda di Mercedes McCambridge che, dopo aver vinto un Oscar navigava in cattive acque, e le affida la parte: l’attrice compie un’impresa recitativa straordinaria grazie a un “allenamento” disumano: si costringe (da sola) a fumare tre pacchetti di sigarette al giorno, a bere whisky e a mangiare solo uova crude e mele acerbe, per arrochire la sua voce; si fa legare a una sedia fino a farsi male per ottenere le sfumature necessarie. A questa voce infernale mischiata a quella di Linda Blair, Friedkin unisce il verso di api rinchiuse in un barattolo, le grida di maiali condotti al mattatoio e le urla di un ragazzo sottoposto ad esorcismo. McCambridge, alla prima del film, scopre che il suo nome non compare nei credits e decide di citare in giudizio la Warner: comparirà in tutte le future copie del film, ma mai come “voce del demonio”. La sua causa, unita alle contestazioni della controfigura di Linda Blair che sostiene di aver fatto gran parte del lavoro, offusca in parte la prestazione dell’attrice, che pur aveva recitato ogni singola battuta, e il film viene apertamente snobbato agli Oscar.

Poco importa. È un successo planetario. Le reazioni del pubblico sono spropositate. La critica si divide tra chi grida al capolavoro e chi al peggiore dei film reazionari, ma ovunque se ne parla. L’immaginario creato dal “demone” Friedkin ha tutta la potenza di quel cinema che travalica lo schermo e si fa fenomeno di costume e, di più, si fa memoria collettiva. The Exorcist, che vanta il più grande numero di imitazioni, citazioni e parodie, dopo quasi cinquant’anni resta ancora uno dei film più spaventosi di tutti i tempi. Quando uscì al cinema, ricorda Quentin Tarantino, anche sua madre gli impedì di vederlo. *

Fonti
* Francesco Zippel, Friedkin Uncut – Un diavolo di regista, Italia 2018
Nico Parente, L’esorcista quarant’anni dopo, Edizioni Il Foglio, Piombino, 2014
Danilo Arona, Daniela Catelli, L' esorcista. Il cinema, il mito, Edizioni Falsopiano, Alessandria, 2003