A cura di Claudio A. Colombo

Fin dal 1905, di fronte alla fuga di masse di lavoratori dalle campagne verso le città in cerca di occupazione, e rimasti invece senza alcun impiego, i dirigenti dell’Umanitaria (in primis l’ingegnere Angelo Omodeo) avevano iniziato a valutare l’opportunità di procedere alla fondazione di una Colonia agricola per operai disoccupati. Il senso di questa iniziativa era quello di impegnare parte di questi disoccupati in opere di bonifica agraria e di coltivazione, al fine di riavvicinarli al lavoro nei campi, allontanarli dalla città e porre un freno al massiccio esodo dalle campagne. Si decise così di fare un esperimento di assistenza col lavoro agrario, istituendo una Colonia agricola per operai disoccupati.
Dopo aver visitato colonie agricole per vagabondi e disoccupati in Svizzera, Belgio, Olanda, Germania, dove acquisire le necessarie esperienze e presentare un piano particolareggiato per l’impianto della Colonia agricola, si decise di passare ad una fase progettuale: i terreni idonei alla realizzazione della Colonia vennero individuati in un’area di circa 50 ettari di brughiera, nel Comune di Ferno, nel circondario di Gallarate (non molto distante dai terreni che oggi sono occupati dall’aeroporto di Malpensa).
Nell’ottobre 1907 si accoglievano i primi disoccupati, e in quei visi affranti dai patimenti, dalla miseria nera, dal lavoro negato, si percepiva tutta l’angoscia “di chi è caduto martire delle ingiustizie sociali”; i disoccupati erano individuati attraverso gli Uffici di collocamento di Milano e fra elementi “provenienti dalla terra o che alla terra avessero serio intendimento di dedicarsi”.
Ai lavoratori che venivano ammessi alla Colonia erano garantiti vitto, alloggio ed un compenso giornaliero variabile a seconda della stagione; l’istituto (affidato ad Antonio Braschi, esperto agronomo) si impegnava inoltre nella ricerca di un’occupazione stabile per i suoi assistiti, i quali, comunque, non potevano trattenersi nella Colonia per più di trenta giorni (stesso periodo della Casa di Lavoro per disoccupati realizzata a Milano, nello stesso periodo).
Nel corso degli anni furono sistemati e messi a coltura solo 20 ettari di terra: non molto, effettivamente, soprattutto in proporzione al sacrifico finanziario sostenuto (circa 47.000 lire per l’avvio, più 20.000 lire all’anno per il funzionamento). Ma l’esperimento testimoniò una fervida progettazione da parte dell’Umanitaria. “Noi stessi abbiamo assistito a dei miracoli di trasformazione. Avevamo visto partire da Milano degli esseri stracciati, sporchi, senza un lampo di vivacità, di speranza e li abbiamo riveduti, dopo pochi giorni, in colonia, puliti, disinvolti, sufficientemente rimessi in carne e con uno sguardo che diceva che erano tornati uomini e che un avvenire meno buio vedevano davanti ad essi”.

Nonostante questa vittoria morale, dopo pochi anni il progetto si rivelò fallimentare (il primo anno furono accolti 182 i disoccupati – 23 stranieri, 159 italiani – ma in seguito il numero diminuì progressivamente), rivelando un funzionamento altalenante fino alla Grande Guerra, quando la Colonia venne venduta ai fratelli Borletti di Milano per trasformarla in un asilo per profughi di guerra, di cui non si hanno notizie certe.