Milano spesso vien descritta come la città dei giardini e delle bellezze nascoste e anche la Società Umanitaria non è da meno.
Un’oasi di pace nel pieno centro di Milano che accoglie il visitatore avvolgendolo nei suoi chiostri verdi in un’atmosfera di serenità carica di storia.
Statue, busti, cancelli e dipinti sono gli angoli dell’Umanitaria su cui desideriamo farvi soffermare e attraverso i quali vi racconteremo la storia dei suoi personaggi e di alcune delle iniziative che han reso grande questa Istituzione.
Nel giardino dei Platani, varcato l'ingresso di via Daverio 7, si staglia la statua in perenne ricordo del fondatore della Società Umanitaria :Prospero Moisé Loria (1814-1892). Mantovano d’origine e di famiglia ebraica, Loria è una figura-simbolo di imprenditore filantropo. Dopo aver fatto una immensa fortuna in Egitto (insieme al fratello Salomon aveva l’esclusiva per la fornitura di legnami della nascente rete ferroviaria), tornato a Milano, Loria dedica tutto il suo tempo a delineare nuove forme di intervento per migliorare le condizioni sociali dei disoccupati dell'epoca. La sua idea è quella di fondare una nuova istituzione, la Società Umanitaria, il cui compito fosse "aiutare i diseredati, senza condizione, a rilevarsi da sè medesimi, procurando appoggio, istruzione, lavoro". Un sogno divenuto presto realtà, attraverso un programma riformista di assistenza laica e moderna. Entrando da via San Barnaba 48 e procedendo lungo i chiostri dell’Umanitaria, dopo lo spazio ristorante, si arriva in un chiostro aperto, quello delle Memorie. A destra, in fondo, lungo la parete della sala cinema con i due finestroni alti, se si presta bene attenzione si intravede una scultura in marmo. Si tratta del ritratto scultoreo dedicato ad una figura-cardine dell’Umanitaria, l’avvocato Giovanni Battista Alessi, in carica come Presidente dal 1901 al 1915 (l’anno della scomparsa). Nonostante l’età avanzata (era nato nel 1837), Alessi seppe infatti mantenere sempre vivida e giovanile la visione d’insieme di un Ente che si apprestava a cambiare radicalmente la nostra società; in consiglio fu un Capo tra pari, perché seppe governare – armonizzandola – l’opera di tutti lasciando ad ognuno, consiglieri, funzionari, insegnanti e consulenti una autonomia di pensiero e di azione, che permise in quegli anni di dare all’Umanitaria uno sviluppo armonico “nella sua proteiforme attività”. Grazie a lui, grazie allo staff a cui si affidò, la Società Umanitaria presto si impose a Milano e in Italia come istituzione moderna e all’avanguardia nel campo dell’istruzione, dell’assistenza, dell’emigrazione, dei diritti sociali. Il pathos che l’avvolge la rende una delle opere più significative legate ai temi di cui si è occupata l’Umanitaria nel corso del ’900: si tratta del monumento “Emigranti”, una delle opere simbolo del verismo sociale di fine ’800, nel Chiostro delle Memorie (il primo sulla destra dopo l’ingresso da via San Barnaba 48). La statua venne realizzata dallo scultore bresciano Domenico Ghidoni e presentata a Milano, nella primavera del 1891, alla Prima Esposizione Triennale dell’Accademia di Belle Arti di Brera, dove il poeta e letterato Pompeo Bettini ne rimase impressionato in questi termini: “Chi guarda la figura di donna modellata dal Ghidoni pensa al poema della povertà coraggiosa; quella donna veglia una adolescente che le dorme vicino in posa naturalissima di stanchezza, come chi conosce già le fatiche che verranno”. Alla morte dello scultore (nel 1920), l’originaria opera in gesso venne fusa in bronzo in due copie: una rimase al Comune di Brescia, l’altra – per pubblica sottoscrizione – venne offerta da artisti e ammiratori alla Società Umanitaria, e probabilmente posta nelle vicinanze della Casa degli emigranti alle spalle della vecchia stazione centrale di Milano. Quando tale ricovero di accoglienza venne smantellato a metà degli anni Venti, la statua venne spostata nella sede dell’Umanitaria, dove è visibile tuttora. Per la sua caratura di riformista e la sua intraprendenza di tecnico illustre, tra i tanti consiglieri che diedero anima e corpo alle sue battaglie sociali, la Società Umanitaria scelse di ricordare Cesare Saldini, il cui busto scultoreo è situato nel Chiostro delle Statue (il penultimo chiostro in fondo, entrando da via San Barnaba 48), nella parete divisoria con la chiesa di Santa Maria della Pace. Qui, dove un tempo la parete era ricoperta da una rigogliosa edera rampicante (oggi è stata sostituita da un bellissimo gelsomino), è incastonato il volto di profilo di Saldini, una figura determinante per lo sviluppo della nostra città, in quanto fu senatore, Rettore del Politecnico di Milano, vice-presidente della Banca commerciale e Assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Milano. Divenuto membro del Consiglio Direttivo dell’Umanitaria nel 1901, ne fu un esponete di spicco fino alla morte (1922), lavorando fianco a fianco con Giovanni Montemartini, Luigi Majno, Angelo Omodeo, Umberto Pizzorno, Luigi Della Torre, e insieme a loro mettendo a punto moltissime iniziative innovative, tra cui la Scuola Laboratorio di Elettrotecnica per Operai, la Scuola del Libro e i quartieri operai di Solari e Lombardia. Questa è l’epigrafe (al momento usurata dal tempo, presto verrà ripristinata alla perfezione) dettata da Filippo Turati dopo la sua scomparsa: “Amministratore docente / tecnico illustre / nei consessi supremi del lavoro / consigliere preside arbitro / autorevolissimo / propulsore della cultura operaia / la Società Umanitaria / memore” Non è facile accedere al punto in cui si trova una scultura molto particolare, quella che raffigura il volto impassibile di Augusto Osimo (1875-1923), il Segretario Generale dell’Umanitaria che, succeduto ad un’altra figura eccezionale, Osvaldo Gnocchi Viani, tenne le redini di questo Ente nei due decenni che ne precedettero il commissariamento fascista. Chi frequenta la Società Umanitaria lo può confermare senza il rischio di essere smentito: l’enorme affresco che si staglia sulla parete in fondo all’ex refettorio del convento francescano di via San Barnaba, la “Crocifissione”, è un capolavoro. Quello di cui andiamo a parlare è forse uno degli angoli più appartati di questo Ente. Si trova infatti alle spalle del Salone degli Affreschi, in un cortile quasi anonimo, se non fosse per quella fontana che spicca al centro di un giardino che non è cambiato di molto rispetto al tempo in cui questa opera venne realizzata. Dobbiamo tornare alla Milano del 1919, e per la precisione ad una rassegna d'arte ideata dalla Società Umanitaria, ovvero quella Esposizione Regionale Lombarda d’Arte Decorativa che per molti addetti ai lavori può considerarsi il prototipo delle Biennali internazionali d'arte di Monza di qualche anno successive. A pagina 188 del volume L’Umanitaria e la sua opera (1922) è pubblicata la foto di un cancello in ferro battuto realizzato nella sezione dei fabbri delle Scuole-Laboratorio d’Arte applicata all’Industria. Per dirigere quella sezione, una delle più importanti per l’artigianato artistico del tempo, era stato scelto fin dal 1903 un artista di enorme valore, Alessandro Mazzucotelli (Lodi 1865 - Milano 1938). Il maestro del Liberty italiano mantenne tale insegnamento fino alla fine degli anni Venti, insegnando sia a Milano, nella sede della nostra istituzione, sia a Monza, all’interno dell’Università delle Arti Decorative, che aveva sede nella Villa Reale. Mazzucotelli venne anche coinvolto sia nel Comitato promotore sia dell’Esposizione d’Arte Libera del 1911 (insieme a Umberto Boccioni, Ugo Nebbia e Carlo Carrà), sia dell’Esposizione Regionale d’Arte Decorativa del 1919, a fianco di un nutrito gruppo di prestigiosi artisti tra cui Raffaello Bertieri, Edoardo Lacroix, Emilio Quadrelli, Edoardo Saronni, Alfredo Ravasco, tutti docenti o ex docenti alle scuole dell’Umanitaria. È uno splendido proiettore cinematografico quello che si può incrociare passeggiando tra i cortili dell’Umanitaria: lo si trova sulla sinistra, appena si svolta verso il Chiostro dei Pesci, dopo le scale che portano al primo piano. È un macchinario molto datato, di cui si sa poco. Per saperne di più ci siamo rivolti ad un nostro collega di Carbonia, Paolo Serra, responsabile della Fabbrica del Cinema. “A vederlo così è sicuramente un 35mm Cinemeccanica; lo intuisco dalle dimensioni di ottica e bobine e dalla finestrella... è uno dei migliori proiettori cinematografici mai realizzati, usato dal nostro ente quando diede vita al cineclub”. La nostra istituzione, la Società Umanitaria, viene sempre identificata con il fondatore, il benefattore mantovano Prospero Moisè Loria. Ma molte delle idee contenute nel suo testamento, molti dei valori inseriti nel nostro statuto, sono stati concepiti d’accordo con un altro personaggio, che di Loria fu una specie di ghost writer: il suo nome è Osvaldo Gnocchi Viani (1837-1917). Se si entra dall’ingresso principale di via Daverio 7, ai piedi della scalinata che porta al primo piano, lo si nota subito: una presenza ingombrante come la memoria che custodisce. È l’unica testimonianza di una scuola che la Società Umanitaria salvò dal fallimento, dando una impostazione innovativa alla didattica e rinnovando tutti i macchinari, per essere sempre allineati ai progressi della tecnologia di quel tempo. Parliamo dei primissimi anni del ‘900, quando gli uffici dell’Umanitaria erano in via Manzoni 9, mentre l’istituto di cui parliamo era in via Goldoni, all’angolo con via Kramer (dove c’erano le scuole professionali femminili). A proposito, la Scuola del Libro oggi esiste ancora e si chiama CFP Bauer. È sicuramente l’angolo più suggestivo ed il più attraente dal punto di vista dell’arte, così come un tempo doveva essere stata la parte più importante del convento francescano, ovvero il refettorio, il luogo di preghiera e di convivialità dei monaci. Un luogo che nei decenni non si è visto risparmiare nulla, dato che è stato deposito di frutta, magazzino di lavori eseguiti dai barabitt (come si chiamavano i giovanetti corrigendi del Riformatorio Marchiondi-Spagliardi), dormitorio pubblico, sala di concerti e conferenze. Lungo circa trenta metri e largo dieci, il Salone degli Affreschi rimane un ambiente di grande ricchezza ornamentale, risalente alla fine del quattrocento, dove “le pareti, gli archetti e gli spicchi della volta conservano gli antichi fregi dipinti”, mentre “le costole della volta, le lunette, le lesene sono a ornati policromi e i voltini delle finestre a bianco e nero di indovinatissimo effetto”. Uno spettacolo su cui insiste anche Gadda, nel sottolineare che “s’era studiato di capire che cosa significhi l’aggettivo «bramantesco», tributato ai capitelli delle lesene”.
01. La statua di Prospero Moisè Loria
02. Il ritratto scultoreo dedicato a Giovan Battista Alessi
03. Il monumento “Emigranti”
04. Il busto di Cesare Saldini
05. Il busto di Augusto Osimo
Osimo è stato un personaggio formidabile, definito dal suo biografo (Nino Mazzoni) il “poeta dell’azione”, in quanto indomito, irrrefrenabile, spinto da una potenza creativa inesauribile. Attraverso la sua direzione, infatti, e grazie all’entourage di tecnici, artisti, scienziati, sociologi, intellettuali e politici che seppe raccogliere intorno all’Umanitaria, nel giro di pochi anni questa istituzione divenne il capisaldo di un organico programma di sperimentazione sociale, sempre all’avanguardia, sempre dalla parte dei più deboli, da sostenere per il loro riscatto morale e civile. Molto scarne sono invece le notizie che abbiamo recuperato su questa opera, realizzata presumibilmente nell’immediato secondo dopoguerra dallo scultore Nicola Sebastio, che per qualche anno fu il titolare del corso di disegno (per ceramisti) alle scuole professionali maschili dell’Umanitaria negli anni ’50.
Per vederla dal vivo occorre seguire le indicazioni per accedere ai corsi Humaniter, al primo piano; finita la scala occorre accedere al corridoio prospicente il chiostro delle memorie: e qui in fondo, prima della porta a vetri, il volto di Augusto Osimo continua a vigilare...06. La “Crocifissione” nel Salone degli Affreschi
È una grandiosa composizione, che ne rammenta altre di Gaudenzio Ferrari e del Luini, affollata di figure e di cavalli, che i vecchi storici dell’arte ritenevano fosse opera di Marco di Oggiono, il più popolare se non il più valente scolaro di Leonardo (solo recentemente l’affresco è stato attribuito a Bernardino Ferrari).
“Si tratta di una composizione armonicamente collegata col tutto. È grandiosa, ricca di figure, di cavalieri e di popolo; notevole per la delicatezza del soggetto e la esecuzione più fine e più naturalmente artistica, la parte centrale, che si sviluppa nella lunetta maggiore: Cristo in croce circondato a corona da un volo d’angeli”, scriveva il critico Ambrogio Annoni, in un numero della rivista Rassegna d’Arte del 1905.
Nella stessa rivista – notizia affatto nota – è segnalato che nella parete di fronte alla “Crocifissione”, proprio sopra la porta d’ingresso al Salone, verso la fine del cinquecento Giovanni Paolo Lomazzo, allievo ed erede dei manoscritti di Leonardo, avesse dipinto una copia della “Cena” vinciana. Oggi nel Salone non c’è traccia di quest’opera, perché l’11 agosto del 1903 (qualche anno prima che l’Umanitaria prendesse possesso dell’area) venne staccata dalla parete e trasportata al refettorio di Santa Maria delle Grazie, dove venne distrutta durante i ripetuti bombardamenti su Milano della seconda guerra mondiale.07. La fontana nel giardino dei tigli
Progettata dall'architetto Luigi Conconi (lo stesso che aveva seguito i lavori per il padiglione della nostra istituzione all'Expo del 1906), insieme allo scultore Guido Persico, questa originalissima ed elegante fontana si erge in marmo grigio, ornata da un gruppo di cavallucci marini in ferro battuto. È un'opera sublime, realizzata dai giovani allievi del corso di plastica del Persico, in una della sezioni delle Scuole d'Arte Applicata all'Industria dell'Umanitaria. Un'opera in cui la passione dell’esecuzione è totale e si compendia con i precetti della scuola: applicarsi alle cose vere, concrete, per garantire sempre utilità e bellezza.08. Un cancello di Mazzucotelli
Entrando da via San Barnaba 48, sulla destra, la cancellata è un perfetto esempio della scuola di Mazzucotelli, che insegnava a plasmare il ferro con estrema abilità (e qui spiccano decorazioni floreali e forme geometriche). Il cancello però non è sempre visibile, soprattutto nelle ore vespertine, quando le ombre falsano la percezione visiva: se il cancello è aperto per le nostre attività risulta poco percettibile. Ma quando è chiuso, serrando l’ingresso al Chiostro dei Pesci, il suo profilo è una testimonianza visiva che ci riempie d’orgoglio.09. Quando c’era il Cineclub
Non era la prima volta che l’Umanitaria utilizzava il cinema; lo aveva fatto all’Arena Civica di Milano durante l’estate del 1921, quando aveva allestito lo schermo più grande del mondo, e lo aveva fatto sempre in quel periodo realizzando un barcone che veleggiava sul Po proiettando filmine didattiche per i lavoratori delle campagne. Ma è solo dopo la ricostruzione e la ripresa di tutto l’apparato formativo e scolastico, che l’Umanitaria si inventa un cineclub, che chiama proprio “Il Barcone. Cinema Popolare d’Essai”. Durato fino alla fine degli anni ’70, “Il Barcone” è stato uno dei primi contesti italiani ad offrire una riflessione aperta, mai dogmatica, attraverso la presenza diretta di registi ed autori, che raccontavano un’Italia in trasformazione, per poi guardare oltre confine, prima con le rassegne sull’est europeo (indimenticabile quella sul regista Aleksandr Dovzhenko, nel 1977), poi con quelle su America e Sud America. Un cineclub per appassionati e non, talvolta anche con ragazzi e studenti, a corredo delle attività didattiche. Lo ricorda bene un ex studente, Bruno Canton, oggi docente dei nostri corsi per il tempo libero Humaniter: “grazie alle attività extradidattiche a scuola si parlava di tutto, di cultura, di cinema, di teatro; in una di queste serate Dante Bellamio, insegnante di cultura generale, proiettò diapositive sulla Resistenza. L’indomani discussione in classe e riflessioni di gruppo”. La scuola, maestra di vita, attraverso la settima arte.10. Il bronzo di Osvaldo Gnocchi Viani
Se c’è un uomo che nella vita politica ed economica italiana, a cavallo tra ‘800 e ‘900, ebbe un posto di prim’ordine, quello è sicuramente lui, il Patriota mazziniano e garibaldino, il Socialista conciliatore, il difensore del movimento emancipazionista femminile, il fautore delle Camere del Lavoro, “dalla candida barba e dai lunghi capelli a zazzera, con gli occhiali davanti agli occhi e le ampie sopracciglia, che gli davano l’aria del propagandista evangelico”.
In occasione della Festa dei Lavoratori, il nostro pensiero non può andare che a lui, raffigurato in un bronzo ovale su drappo rosso (come il rosso della sua passione), eseguito dallo scultore Eugenio Pellini, ed appeso in bella vista sulla parete bianca attigua alla sala del Consiglio Direttivo, al primo piano. Osservando i lineamenti incisi nel metallo, ce lo immaginiamo seduto dietro la scrivania da Segretario Generale (incarico che fu il primo ad ottenere nella storia del nostro Ente), mentre scrive, progetta, ipotizza iniziative a favore dei lavoratori: “di mano in mano che la loro coscienza di lavoratori si educa e la loro forza di organizzazione si sviluppa, domandano alla società riforme, leggi, istituzioni a tutela della loro dignità e dei loro diritti” (così scriveva nel maggio 1897).
Scuola e lavoro, i pilastri di ogni democrazia.11. Quel macchinario in fondo alla scala…
In questa scuola, che venne chiamata Scuola del Libro, il programma di studi era di altissimo livello (tra i docenti anche Leopoldo Metlicovitz, il famoso cartellonista) e negli anni sarebbe incrementato con corsi accelerati, corsi di aggiornamento, corsi di riqualificazione diurni, serali, festivi. Tutto gratis, per permettere a chiunque di cambiare il proprio destino, la propria condizione, facendo in modo che ciascun lavoratore potesse “rilevarsi da sé medesimo”, sfruttando le proprie risorse, migliorate da conoscenze e strumenti fino a quel momento mai accessibili.
Per saperne di più su questo macchinario abbiamo interpellato Mara Campana e Gianfranco Mazzocchi, ex insegnanti: “La targhetta della casa costruttrice, Lamperti & Garbagnati, la dice lunga: si tratta di un banco ottico da studio per fare riproduzioni d’arte e/o ingrandimenti su lastre a collodio umido e più tardi direttamente su carta fotografica. Potrebbe essere stato costruito tra il ’20 e il ’30 ed è stato in uso alla Scuola del Libro fino ai primi anni ‘60”.
Un vero gioiello di famiglia.12. Salone degli Affreschi
La composizione austera della sala non è sempre stata la stessa, perchè nel 1919 l’ex refettorio venne migliorato chiamando a lavorarci alcuni artisti del tempo: il principe del Liberty Alessandro Mazzucotelli progettò i lampadari in ferro battuto, l’architetto Enrico Monti donò le porte in legno massiccio e Giovanni Beltrami le vetrate policrome. Oggi, grazie ai lavori di restauro effettuati tra il 1997 e il 1999 (ripristino delle decorazioni pittoriche sulla volta e sulle pareti, sistema illuminotecnico, bocchette di areazione), il Salone degli Affreschi è il cuore pulsante delle attività della Società Umanitaria.