Gino Negri, un futurista controcorrente Antonello Negri |
Negli anni a cavallo del 1960 mio padre, Gino Negri, aveva avuto da Riccardo Bauer l’incarico di collaborare all’attività del Teatro del Popolo organizzando concerti e serate musicali. La documentazione relativa, i programmi, le locandine conservate nell’Archivio Storico dell’Umanitaria mi hanno riportato alla mente una stagione mitica – erano gli anni delle mie scuole medie, poi del Berchet – fatta di serate memorabili e divertenti, nella sala degli affreschi ma anche in altri spazi, se non ricordo male; filo conduttore era l’intreccio, nella musica e nel canto, dell’alto e del basso, del nobile e dell’ignobile, del colto e del popolare. Il carattere di fondo, che mi è rimasto profondamente impresso, consisteva nello spericolato, provocatorio, impudente montaggio di forme espressive, vocali e musicali, totalmente diverse, spesso stridenti fra loro; una specie di neo-futurismo. Era anche l’epoca del primo revival della canzone popolare – mi pare di aver assistito proprio nella sala degli affreschi all’esordio come folk singer di Sandra Mantovani (o forse era Giovanna Marini? LINK), interprete dei canti delle mondine allora riscoperti e trascritti da Roberto Leydi – e della nascita di una nuova canzone popolare d’autore: i ‘cantacronache’, i dischi del sole, le (finte, ma colte) canzoni della ‘mala’… Tutte esperienze vissute all’Umanitaria in presa diretta, con l’entusiasmo del neofita, in un clima che, dalla prospettiva di oggi, si direbbe permeato dall’intento di riallacciarsi alla ‘cultura di Weimar’.
Vorrei però ricordare un’altra strana forma di spettacolo, dello stesso periodo, che ho sempre collegato al lavoro di mio padre per il Teatro del Popolo, ma della quale negli archivi dell’Umanitaria non c’è traccia: le serate in certe cooperative della periferia e dell’hinterland milanese, Quarto Oggiaro, il Ticinese, via Ripamonti… In locali dignitosamente poveri, qualche volta ma non sempre con una pedana e davanti a un pubblico di cinque pensionati, otto operai e tre impiegate, mio padre cantava accompagnandosi al piano canzoni scritte più o meno all’impronta su temi ‘sociali’ (la scuola, la mutua, il caporeparto cattivo, il controllo delle nascite…) e d’attualità (il papa che per la prima volta aveva preso l’aereo). Intanto, due attori in calzamaglia nera – Roberto Pistone e Maresa Meneghini – mimavano le storie raccontate, sempre paradossali e di solito mai a lieto fine. Seguivano, naturalmente, appassionati ma allegri dibattiti.
Fu un’esperienza a sua volta indimenticabile, tanto più leggendaria poiché non ne esiste alcuna documentazione fotografica o sonora.
Gino Negri, an unconventional Futurist Antonello Negri |
Around 1960, Riccardo Bauer asked my father Gino Negri to contribute to the People’s Theatre by organizing concerts and musical evenings. Although I was in my teens – I studied at the Berchet high-school – back then, the programs and playbills stored at the Umanitaria’s Historical Archive helped me remember that mythical season made of memorable and funny evenings in the “Sala degli Affreschi” as well as in other venues. The leitmotiv was the encounter, in music and singing, between high and low, noble and ignoble, cultivated and popular.
I could never forget the underlying flavor of that time – the reckless, defiant, provocative combination of entirely different, often even conflicting expressive, vocal and musical patterns. It was like a new Futurism. That was also the time of the first folk singing revival. I was precisely at the “Sala degli Affreschi”, I think, when I witnessed the debut of folk singer Sandra Mantovani (or was it Giovanna Marini? I am not sure LINK), who performed the rice-workers songs then rediscovered and transcribed by Roberto Leydi. A new generation of folk singers was emerging – the ‘Cantacronache’ group, the Dischi del Sole recording label, the (fake but refined) ‘mob’ songs …
At the Umanitaria, I experienced all of that first-hand, in an atmosphere that in retrospect almost seemed to evoke a sort of ‘Weimar spirit’. It was an unforgettable experience, and the absence of tape or photographic records makes it all the more legendary.